LA CURIOSITÀ
Korga Gberou racconta la sua esperienza africana: dalle difficoltà di reperimento del latte al consorzio fra donne per superare i limiti di un Paese poverissimo
Dal Benin a Ragusa,
il viaggio
della donna-casara
Proviene dal Benin, dall’Africa occidentale: un luogo dove i riti tribali e voodoo sono ancora in uso. Si chiama Korga Gberou ed è una delle trenta donne casare a Ragusa per partecipare a dei seminari formativi sulla microcaseificazione, che rientrano nel progetto iPWO (internazionale Professional Woman Opportunity), il cui obiettivo è quello di creare presso il Corfilac, il Consorzio di ricerca sulla filiera lattiero-casearia, un network scientifico internazionale che supporti l’attività casearia delle donne produttrici di formaggio provenienti da Niger, Burkina Faso, Mali, Senegal, Kenya, Uganda, Marocco, Tunisia, Egitto, Siria, Libano, India e Benin.
Ed è proprio dal Benin (etnia peulth) che proviene Korga. Nel suo Paese la donna riveste un ruolo cruciale e insostituibile nella trasformazione del latte in formaggio; affidare alla donna la produzione del formaggio nel Benin e in molti Paesi in via di sviluppo è davvero una consuetudine: come lei altre donne sono impegnate in questo compito reso ancora più difficile, oltre che dalle condizioni di povertà, anche dal fatto che devono gestire una famiglia.
La famiglia di Korga, poi, è numerosa: sono in undici. “La mattina ci si deve alzare molto presto – racconta -, lavare i bambini, vestirli e poi subito di corsa a mungere le vacche il cui latte servirà per la preparazione di un formaggio a pasta molle, detto Peulo, un po’ simile alla tuma prodotta in Sicilia e che va consumato fresco”. Per far coagulare il latte usa le foglie della Calotropis progera, che vengono prima pestate, diluite nel latte, filtrate e aggiunte al latte precedentemente riscaldato. Non appena il latte inizia a coagulare viene prelevato dalla pentola e messo in piccoli contenitori di vimini che gli danno la forma rotondeggiante.
Ogni giorno dunque si lavora il latte per fare dei formaggi così come ogni giorno bisogna affrontare dei problemi, in primo luogo il reperimento del latte, sì perché se è vero che Korga possiede molte vacche, queste a causa della scarsezza di pascoli producono poco latte, circa 15 litri al giorno. Un ostacolo non indifferente che però lei insieme ad alcune donne del suo villaggio sta cercando di raggirare. In che modo? Semplice. Facendo squadra! Così tutto il latte che le vacche di ogni donna produce viene messo insieme per farne dei formaggi i quali, una volta prodotti, andranno a una donna del gruppo. Il giorno dopo, stessa cosa, ma questa volta sarà un’altra donna a ritirare tutto il formaggio prodotto. E così via. Ma non c’è solo questo problema: Korga ci racconta che nella loro “filiera” oltre alle casare, le produttrici di formaggio, vi sono delle donne che provvedono a ritirare questi formaggi per venderli nei mercati o nelle grandi città: sono le raccoglitrici. I formaggi prodotti infatti oltre ad essere consumati in famiglia vengono per la gran parte venduti nei mercati. Le produttrici vendono pertanto i propri formaggi alle raccoglitrici ad un prezzo in genere di gran lunga inferiore a quello al quale lo rivenderanno nei mercati. “Le raccoglitrici – aggiunge Korga – ci guadagnano da cinque a sei volte di più”.
Insieme a Korga c’è anche Berthilde Nyiransabimana, una studiosa delle problematiche delle casare del Benin. “Da un po’ di tempo – racconta – è sorta una comunità di allevatori per supportare queste donne, da un lato suggerendo il modo migliore per produrre per garantire un formaggio di qualità, dall’altro per difendere il proprio prezzo”. La questione del prezzo potrà sembrare strano ma è strettamente legata al problema della conservazione del formaggio. Il Peulo è un formaggio che va consumato subito, allo stato fresco. Se le donne non riescono a conservare in modo ottimale e per un periodo lungo i formaggi, saranno costrette a venderlo subito, a qualsiasi prezzo, in genere quello stabilito dalle raccoglitrici.
Attualmente loro conoscono solo un modo per conservare il formaggio (probabilmente non il migliore visto che ne modifica un po’ le caratteristiche organolettiche). Si tratta di un metodo in genere utilizzato dalle raccoglitrici quando queste non riescono a vendere al mercato il formaggio: una volta ritirato dai banconi, lo riportano nei propri magazzini, ove il giorno dopo li trattano ponendoli in una soluzione ottenuta mettendo in pentola del sorgo, pestato e diluito in acqua, con l’aggiunta di potassa. Una volta che l’infuso va in ebollizione le donne vi aggiungono i formaggi che pertanto subiscono così una sorta di sterilizzazione esterna, colorandosi di rosa. L’operazione può essere effettuata massimo tre volte dopodiché i formaggi vanno buttati.
Insomma un lavoro in cui le difficoltà non mancano ma che permette a Korga, e ad altre donne del suo Paese, di mantenere la propria famiglia. Ora bisogna guardare al futuro e lei lo fa fiduciosa. Non appena tornerà in Africa, ci racconta, inizierà a sensibilizzare le altre donne sull’importanza di produrre “qualità” e chissà che non riusciranno a vendere meglio i propri formaggi, anche fuori dai confini del Benin.
Gianna Bozzali