IL DIBATTITO
L’ex ministro dell’Agricoltura e produttore di vino a Pantelleria: “La denominazione unica metterebbe a rischio le poche chance della vitivinicoltura siciliana. I vertici di Assovini facciano un passo indietro”
Mannino:
“Doc Sicilia?
No senza riserve”
di Fabrizio Carrera
Le ragioni di un no alla Doc Sicilia. Incontriamo Calogero Mannino tra i libri ammonticchiati del suo studio. L’ex ministro dell’Agricoltura tra i padri della legge che ancora oggi (e ancora per poco) regolamenta il mondo delle Doc e delle Igt e produttore di vino anch’esso in quel di Pantelleria col marchio Abraxas, ha voglia di parlare. Doc Sicilia, all’ordine del giorno. Favorevole o contrario? Contrario. Senza riserve. E senza attenuanti. Ecco l’intervista.
Onorevole Mannino, perché no alla Doc Sicilia?
«Alcuni imprenditori molto qualificati ed ai quali si deve anche il merito di intraprese innovative si sono resi promotori dell’introduzione in zona Cesarini della Doc Sicilia. L’obiettivo conclamato era duplice: utilizzare il brand Sicilia ed impedire l’imbottigliamento fuori dalla Sicilia del Nero d’Avola. Il testo che l’Assovini ha inviato a tutti invece adesso contiene una deroga al divieto di imbottigliare fuori dalla Sicilia in favore delle cantine sociali».
E lei non è d’accordo?
«Non credo che il disciplinare della Doc Sicilia possa essere approvato senza la deroga; le cooperative ed i loro riferimenti politici di tutti i colori sono attive al riguardo. Penso poi che la prospettiva più seria sia quella della induzione e non soltanto per iniziativa dei pubblici poteri all’imbottigliamento diretto. Semmai oggi bisogna chiedersi: è possibile un’integrazione almeno sotto il profilo della commercializzazione e quindi del marketing tra le grandi aziende private, le piccole e le cooperative? A Menfi Planeta ha dimostrato che è possibile con il mantenimento delle rispettive identità tra l’azienda della sua famiglia e la cooperativa Settesoli. Su un altro piano Tasca ha messo l’azienda Sallier de La Tour sotto il baldacchino della Regaleali. Ed allora invece di cercare strumenti surrettizi che possono essere controproducenti bisogna lavorare alla realizzazione di una nuova fase del vino siciliano attraverso integrazioni volontarie e contrattuali. Il resto è soltanto escamotage che riproduce ed aggrava i problemi. Su questo piano va sfidata la Regione».
In ogni caso lei resta contrario?
«Imbottigliando vino Doc fuori dalla Sicilia non si tutela il brand Sicilia. E poi mi chiedo perché non è stato già utilizzato il nome Sicilia nelle Doc esistenti? La legge non lo impediva. E ancora: che senso ha tutta questa rivoluzione dopo le battaglie degli anni passati per avere Doc come Contessa Entellina, Menfi ed altre ancora se adesso vengono di fatto cancellate con un colpo di spugna?».
Ed allora?
«Tutti sappiamo che la Sicilia del vino è fatta di territori e mi meraviglia che chi si trovi all’interno di una Doc come la Contea di Sclafani voglia perdere questo titolo di nobiltà per declassarsi con una Doc regionale che ottunde le differenze e le peculiarità che invece sono la forza della vitivinicoltura siciliana. Qui, voglio ribadire, non è vero che c’è un Nero d’Avola, ma ci sono tanti Nero d’Avola quanti sono i territori con le loro specificità».
Bocciatura su tutta la linea?
«Come si fa a immaginare che la Contea di Sclafani o l’Etna siano uguali alla Val di Noto? Mi sarei aspettato da Tasca, Planeta e Rallo, i vertici di Assovini, che hanno avuto ed hanno ancora la mia stima e la stima di tanti siciliani, un’azione di leadership anche culturale che non porti al disastro».
Addirittura?
«Vedremo Nero d’Avola Doc Sicilia imbottigliato in Veneto, in Lombardia, in Piemonte e forse in Germania e negli Usa. Se c’è un esempio che i grandi imprenditori siciliani devono avere è quello della Francia nelle discipline delle loro Aoc attraverso le quali sono state introdotte limitazioni assolute nel nome di un territorio. Vorrei pertanto invitare i vertici dell’Assovini a fare un passo indietro. Del resto, l’umiltà è dei forti e dei grandi. Tutto questo per non mettere a repentaglio le poche chance che la vitivinicoltura siciliana ha ancora».
Non è un’ipotesi troppo pessimista?
«Non credo. Non si dimentichi che dopo anni di devastante consenso alla possibilità di imbottigliare fuori dalla Sicilia, il Marsala, pur protetto da un nuovo disciplinare, non ha più recuperato né lo spazio di mercato, né l’immagine che aveva conquistato in tanti decenni».
In alternativa lei cosa propone?
«Si imbottigli dove si produce. Come avviene in Francia».