IL DIBATTITO
Dopo l’iniziale entusiasmo l’Isola ha subìto un piccolo stordimento e alcuni giovani imprenditori hanno gettato la spugna. Per scacciare i fantasmi, un antidoto è la difesa della qualità
Vino, la Sicilia
batta un colpo
Abbiamo chiesto a un gruppo di grandi esperti di enogastronomia un parere spassionato e senza fronzoli sulla Sicilia, i suoi sapori, la sua accoglienza, la sua tradizione enogastronomica. Dopo l’intervento di Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow food per la biodiversità, adesso tocca ad Alessandro Torcoli, redattore capo di Civiltà del bere. Ecco l'articolo.
di Alessandro Torcoli *
La Sicilia del vino non deve abbassare la guardia. Negli anni Novanta e nei primi del Duemila abbiamo assistito a un’esplosione della sua immagine più sfavillante delle pur spettacolari micro-eruzioni dell’Etna. Oltre la moda, il bere siciliano era divenuto sinonimo di buon gusto, di modernità, di competenza. Il Nero d’Avola era un nuovo principe del Sud e alla sua corte si presentavano i divi e i comuni mortali.
Purtroppo accanto alle etichette “cult” che stavano accreditandosi sui mercati del mondo, grazie all’indomita azione dei pionieri della qualità, qualcuno continuava a inondare il mercato con vini di basso rango. E i prezzi, che come sappiamo sono una bussola, erano inspiegabilmente variabili dai 50 euro ai 50 centesimi. Così dopo il botto, l’Isola ha subìto un piccolo stordimento: molti piccoli e seri imprenditori, spesso giovani, che ci avevano creduto e che con orgoglio avevano impegnato tutto per imbottigliare e vendere vini siciliani di pregio sono stati travolti dall’odioso riflusso della moda. Qualcuno ha gettato la spugna, qualcuno resiste stringendo i denti.
La Sicilia del vino, proprio adesso, non deve abbassare la guardia. Gli imprenditori leader e i responsabili delle istituzioni pubbliche che hanno il dovere morale di difendere e valorizzare l’immagine del vino siciliano tengano saldo il timone puntando a Portofino o a Cannes, non a Marsiglia. Le navi cisterna, di diversa e varia provenienza, purtroppo esistono ancora e come relitti fantasma di un romanzo sudamericano si aggirano per il Mediterraneo. E soprattutto sono pronte a materializzarsi in un momento di grave crisi. Per scacciare i fantasmi, un antidoto è la difesa della qualità anche se al costo, nell’immediato, di qualche piccolo compromesso con il portafoglio.
Purtroppo il Nero d’Avola, simbolo del successo siciliano, è un’arma a doppio taglio: affermato e famoso è pur sempre un vitigno, che qualsiasi paese del mondo può rapinarci. Lo stesso è per il Grillo, l’Inzolia, eccetera. Solo la denominazione geografica si può difendere con efficacia. È forse per questo che alcuni produttori, dopo aver reso famoso il nome del Nero d’Avola da qualche anno focalizzano i loro sforzi comunicazionali sulle Doc, piccole in taluni casi, come il Faro o l’Etna, difficili da pronunciare in altri, come il Riesi. Però l’idea di fondo è corretta e moderna: oggi “comanda” il territorio e anche noi di Civiltà del bere, con la collaborazione del benemerito Istituto regionale della Vite e del Vino di Palermo, vogliamo portare il nostro contributo cedendo il proscenio a 10 Cantine siciliane che saranno tra i protagonisti dell’imminente sesta edizione del nostro VinoVip Cortina, il summit del vino italiano. Esse, per una volta, non saranno solamente portavoce di loro stesse, bensì delle terre d’origine, da Marsala a Palermo, da Agrigento a Catania.
* Redattore capo Civiltà del bere