CIBO & LETTERATURA
Le abilità in cucina di Karen Blixen, autrice de “La mia Africa”. Nella sua scrittura sono diversi i piatti serviti a ricostruire un'atmosfera. Ecco come insegnò i suoi segreti al suo chef analfabeta keniota e la ricetta originale della salsa offerta ad Edoardo VIII
In tutte le salse
Con questo articolo Maria Grazia Accorsi, scrittrice e docente universitaria comincia la collaborazione con Cronache di Gusto.
Karen Blixen disse di sé che ciò che sapeva fare meglio era scrivere e cucinare. Sulla sua abilità- e grandezza – di scrittrice sono tante le testimonianze. Le nostre, di lettori, ma anche di critici e scrittori. Fra questi Hemingway che quando ricevette il premio Nobel nel 1954 disse che avrebbero dovuto darlo a Karen Blixen.
Sulla sua abilità in cucina, sul suo interesse per il cibo, cucinato, offerto, descritto, metaforizzato le testimonianze vengono innanzitutto dalla sua opera. Nella sua scrittura realistico fantastica sono diversi i piatti che servono a ricostruire un'atmosfera, diventano avvii alla memoria, funzionano come strumenti della caratterizzazione di un ambiente, di un personaggio. Ma c'è anche qualche ricordo diretto; e uno in particolare colpisce, nel testo autobiografico La mia Africa (Out of Africa, 1952), Milano, Feltrinelli, 1986. La prima volta che dal Kenia ritornò in Europa, ci racconta, aveva preso lezioni di cucina da uno chef francese, certo monsieur Perroquet: sia perché era già appassionata di cucina sia perché in più pensò che sarebbe stato divertente poter offrire una cucina raffinata nel diverso ambiente della fattoria. Dove insegnò a cucinare all'indigeno che serviva in casa, un kikuyu di nome Kamante. Dall'entusiasmo con cui la Blixen descrive l'abilità raggiunta da Kamante in cucina – e a ciò dedica ben due pagine – viene il sospetto che l'allievo avesse superato il maestro. Kamante era un genio in cucina, un demone, un ispirato stregone:. “È emozionante lavorare con un demone. Teoricamente comandavo io, ma mentre stavamo accanto, fra i fornelli, avevo la sensazione che non solo la cucina ma tutto il nostro mondo passasse pian piano nelle mani di Kamante”.
Alla fattoria passavano anche ospiti illustri: uno di essi, il viaggiatore e scalatore e internazionale gourmet, Charles Bulpett, che viveva a Nairobi, invitato a cena l'assicurò che non aveva mai mangiato meglio in vita sua. Ma la scrittrice e cuoca non ci confida che cosa gli offrì. Della cena offerta a un altro e ben più illustre ospite, invece, trapela qualche dettaglio. Il principe di Galles – il raffinato Edoardo Alberto, che salì al trono come Edoardo VIII il 20 gennaio 1936, per discenderne abdicando l'11 dicembre dello stesso anno – fece l'onore alla Blixen di andare a cena da lei, non solo, ma si complimentò per una salsa Cumberland. Se dalle notizie sull'apprendistato francese della Blixen e da tanti altri dati possiamo immaginare che praticasse in generale la cucina francese, in questo caso, in onore dell'ospite doveva aver offerto piatti anche di cucina inglese. La Cumberland è infatti il tipico condimento inglese e si dice sia stata inventata nell'Ottocento ad Hannover patria di origine della casa regnante inglese, in onore del duca di Cumberland, Ernesto Augusto I che divenne re di Hannover, e del fratello che fu reggente in Inghilterra dal 1811 al 1820 sostituendo il padre che dava segno di follia e poi divenne re di Inghilterra con il nome di Giorgio IV.
La denominazione della salsa, insomma, non ha quasi nulla a che fare con la nordica contea inglese del Cumberland. Ogni tanto capita che le denominazioni siano anche più sibilline e talvolta indecifrabili come la Salsa del Papa dell'Artusi o quelle del bravissimo Kamante che non sapeva leggere, non conosceva l'inglese e quindi non usava libri di cucina e rinominava i piatti secondo una sua personale storia, legandoli ai più svariati avvenimenti: “Ogni pietanza nella sua fantasia portava il nome di un avvenimento accaduto il primo giorno che l'aveva fatta: parlava della salsa dell'albero colpito dal fulmine e di quella del cavallo grigio morto. Ma non le confondeva mai una con l'altra”.
Se la cucina francese è giustamente famosa per le sue salse, anche la spesso ingiustamente vituperata cucina inglese ne annovera diverse molto rinomate. Nel manuale di Escoffier – che peraltro, come è noto, lavorò a lungo a Londra – ci sono due sezioni di salse inglesi, una di calde e una di fredde. E una fra le fredde è appunto la Cumberland, che accompagna selvaggina arrosto, anche fredda, montone, ma anche maiale, come avvenne alla cena della Blixen. È fatta con succo di un’arancia e un limone, le scorzette dei frutti a fiammifero sbollentate per 5 minuti, porto, gelatina di ribes rosso (in proporzioni variabili a seconda del manuale, da 120 a 250 grammi), un cucchiaino da tè di senape forte, sale, pepe. Qualcuno aggiunge scalogno tritato, sbollentato e strizzato, qualcuno aceto e ciliegie candite tritate, altri zenzero grattugiato, chiodi di garofano e zucchero. Per qualcuno la buccia dei frutti è grattugiata (ma per Escoffier questo la fa diventare salsa Oxford).
Non sorprende che il principe abbia lodato una salsa: la Cumberland, così diffusa come doveva essere, poteva avere, come ha, tante possibili varianti, di ingredienti e di esecuzione da rendere i risultati molto personali. E come è noto una salsa può cambiare drasticamente un piatto. Da cui il detto “in tutte le salse” applicato metaforicamente a chi presenta sempre lo stessa cosa, discorso, abito, persona, in circostanze diverse travestendola con qualche “accessorio”, con qualche “salsa” appunto. Se nella metafora il risultato è dubbio e la salsa non riesce a trasformare e occultare la realtà di base, in cucina invece la salsa non maschera, né vuole farlo, bensì ricrea e talvolta diventa protagonista. Come la Cumberland della cena di Karen Blixen.
Maria Grazia Accorsi