LA POLEMICA
Massimo D’Alema, per la sua tenuta di Terni, chiama l’enologo Cotarella. Il quotidiano “Libero” lo attacca: consulente anche di una cantina legata alla mafia. La difesa di Civiltà del Bere
Se la politica
invade la cantina
Nei giorni scorsi il quotidiano “Libero” ha parlato dei rapporti dell’ex presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, proprietario di una tenuta in provincia di Terni, con Riccardo Cotarella, uno dei più importanti enologi italiani. “Libero” ha accusato D’Alema di avere piantato “28 file di Marselan e altrettante di Tannat.
Ecco si tratta di due varietà proibite sia in provincia di Terni che in quella di Perugia… Marselan e Tannat – si legge ancora sul quotidiano – servono per rendere il vino imbattibile ma escono dai criteri seguiti dai viticoltori della zona. Il Tannat, tra l’altro, è un vitigno autorizzato in pochissime province perché crea colore, struttura senza passare per le varietà italiane. La pena è l’estirpazione”. Fin qui il fatto tecnico, l’aspetto che riguarda Cotarella sfiora anche la Sicilia, visto che l’enologo è stato anche consulente dell’Abbazia Sant’Anastasia di Franco Lena, l’ingegnere di Castelbuono, arrestato nei giorni scorsi con l’accusa di essere vicino alla mafia. Fatti assolutamente non collegati e non collegabili ma che “Libero”, però, accosta.
In difesa di Cotarella è sceso Alessandro Torcoli, caporedattore di Civiltà del Bere: “D’Alema avrebbe dovuto conoscere l’ingegner Lena (e la sua collaborazione con Cotarella) e non affidarsi al suo stesso enologo-consulente? Oppure, appena saputo ‘dell’incidente’, il politico avrebbe dovuto pubblicamente estirpare sia i vitigni criminosi sia l’enologo poco raccomandabile?”.
Insomma, la polemica è servita, e intanto il presidente del Copasir annuncia azioni legali per tutelarsi dalle affermazioni del giornale di Belpietro, che afferma che i suoi terreni sono coltivati grazie ad aiuti comunitari.
M.V.