IL PRODOTTO
Viaggio nel mondo dei panificatori di Castelvetrano a caccia di una denominazione di qualità. “Molti accelerano la produzione utilizzando il lievito di birra: così si ottengono cattivi risultati”
Pane nero, niente qualità con la fretta
“La “vastedda” del Pane Nero mi ricorda un cielo notturno ed i semi di sesamo ne creano il firmamento”. Tommaso Rizzo, panificatore di Castelvetrano, ama dare questa definizione del pane che, dal 1954, produce. Il secondo di tre generazioni di fornai e responsabile del presidio Slow Food “Pane nero di Castelvetrano” dal 2000, ci accompagna in questo viaggio culinario fatto di farina di grano duro, crescente, tumminia, sale, acqua, pazienza e passione.
Ma cosa è cambiato da quando il Pane nero fa parte dei 33 presidi dell’Isola?
“Boom è la definizione che rende al meglio l’idea. Presenze al “Salone del Gusto” di Torino, esportazioni in tutto il mondo, citazioni e copertine sul Gambero Rosso; da sette anni la produzione è quadruplicata portando con sé non pochi problemi. Parecchi panificatori si sono fatti prendere dal panico per la concorrenza selvaggia. Ogni volta che si crea un nuovo indotto tutti si precipitano nella speranza di facili guadagni, penalizzando la qualità. Le regole del disciplinare Slow Food sono molto rigide ma molti non le osservano”.
Qual è la condicio sine qua non perché sia Pane nero?
“In questa tipologia di pane, la percentuale di farina di tumminia (grano molto dolce dalla piccola cariosside bronzea che conferisce al pane il caratteristico colore scuro brunato) deve essere compresa fra il 20% ed il 30%; la restante parte è composta da sfarinati di grano duro siciliano. Le farine devono essere molite a pietra per mantenere intatti i sali minerali. Non deve essere presente in alcun modo il lievito di birra, ma solo “crescente” che garantisce una fermentazione molto lenta e naturale. Infine, la cottura in forni a legna. Alcuni dati sono indicativi: a Castelvetrano ci sono 33 forni che “producono”, si fa per dire, “Pane Nero” e soltanto 3 di questi hanno aderito al disciplinare. Solo 12 funzionano a legna, altri impiegano una quantità bassa di farina di tumminia e per accelerare i tempi di preparazione utilizzano lievito di birra. Per fare un buon pane ci vuole molta calma”.
Quale sarebbe il modo migliore per tutelare il Pane Nero?
“La DOP o l’IGP potrebbero salvaguardare la qualità. La Regione Sicilia, tramite il “Consorzio Ballatore”, sta lavorando in questo senso. Il Comune di Castelvetrano non si è mai mosso in tal senso, anche per la disgregazione della categoria. Anni fa avevamo tentano di creare un consorzio del Pane Nero di Castelvetrano, ma mettere insieme tante teste non è facile. Una volta ottenuto il riconoscimento mi auguro che ci siano controlli più restrittivi. È l’unica salvezza per il Pane Nero”.
Marina Carrera