CULTURA A TAVOLA
Dibattito sulla bevanda alla mostra in corso al Museo del mare di Palermo fino al 15 aprile. “Era un toccasana anche per i vogatori”
Il vino al tempo
di Leonardo
Al tempo in cui Leonardo da Vinci sperimentava le tecnologie del futuro, un popolo di navigatori faceva la storia del nostro Paese, più che con il vento con il vino in poppa. È ciò su cui il Museo del Mare di Palermo ha richiamato l’attenzione nel dibattito “Il vino a bordo da Leonardo ai giorni nostri” tenutosi in occasione della mostra su le macchine di Leonardo da Vinci intitolata “Il genio di Leonardo”, che ospita nelle sale dell’Arsenale borbonico fino al 15 aprile.
Fu proprio questa bevanda, infatti, il motore d’Italia, fulcro non solo di scambi commerciali ma addirittura ago della bilancia in quelli che furono celebri scontri e conquiste, come per esempio nella battaglia di Lepanto del 1571. Scontro vinto dalla flotta della Lega Santa grazie alle migliori condizioni fisiche dei marinai, che seguivano una dieta in cui era presente il vino. A tracciare le tappe del vino nel corso della storia marittima è stato il presidente del Muso del Mare, Pietro Maniscalco, partendo dal ruolo che ebbe il vino sin dagli albori della civiltà mediterranea, dall’epoca romana.
“Abbiamo dimenticato quanto il vino sia da considerarsi a tutti gli effetti un patrimonio marittimo. I mari sono sempre stati solcati in lungo e in largo da galere che portavano a bordo più vino che uomini, come testimoniano le anfore ritrovate nei fondali. Il vino fu per millenni al centro del trasporto, del comando e del potere”. Non solo una risorsa economica ma anche un premio. Veniva infatti dato come incentivo e toccasana ai vogatori. “La salute dei vogatori era primaria per le flotte, garanzia di efficienza e puntualità nelle consegne”, spiega Maniscalco. “I vogatori dovevano portare la nave con una propulsione di circa 6 nodi costanti. Per migliorare la resistenza si dava loro, la sera, un bicchiere di vino, come premio appunto, che serviva per ripristinare nel sangue la quantità degli zuccheri. Usanza che rimase in voga anche molti secoli dopo. Infatti, approdato a Palermo, anche l’ammiraglio Nelson volle fare provvista di botti per la sua flotta mandando a Marsala, presso la famiglia Ingham, uno dei suoi emissari”, ricorda il presidente. Il vino era il carico più importante in una nave. Attorno alla sua sistemazione in stiva si organizzavano il resto delle derrate alimentari. Gli veniva riservato un posto d’onore che consentiva di conservarlo al meglio e di preservarne la gradazione che veniva alterata dal dondolio del mare. Anche accorgimenti strutturali nelle navi venivano messi a punto per mantenere la qualità del vino, come l’istallazione della manica a vento, una canna che serviva per ventilare la stiva e mantenere la temperatura ideale. “Il vino però non solo era un carico prezioso era proprio un tesoro da offrire, infatti brocche di vino erano sempre presenti nel quadrato di poppa, la parte della nave che ospitava personalità, personaggi importanti ed anche il re”. E racconta il presidente come il vino, che era protagonista di pranzi diplomatici, non mancava certo in quelli regali, come testimonia il menu dei pranzi che teneva re Ferdinando VI, ritrovato nella Palazzina Cinese di Palermo. Inoltre del vino già si apprezzavano e si commercializzavano le differenti tipologie per regione, dal Barolo e Nebbiolo, al Refosco, al Lambrusco al Rosso di Barletta, fino a quelli siciliani. Oltre allo zibibbo ed alla malvasia erano richiesti quello di Misilmeri, di Partitico come il Bianco d’Alcamo, di Pachino. Alcune di queste varietà erano conosciute persino dai romani. Non potè non essere quindi che il vino a determinare poi nell’800 l’esploit imprenditoriale della Sicilia e di Palermo in particolare. Un periodo di conquisa di nuove rotte oceaniche e collegamenti commerciali, di nuovi primati ad opera di grandi armatori come i Florio, gli Ingham, i Barbaro, e personaggi come il palermitano Vincenzo Di Bartolo.
Manuela Laiacona