LA RICERCA
Realizzati dai biologi dell’Istituto vite e vino dei cloni di Mascalese, da cui nasceranno delle barbatelle. E il prossimo anno sarà disponibile “materiale di base” di Catarratto bianco comune, Nocera, Carricante e Moscato di Noto
Luce sul Nerello
Un altro colpo messo a segno dai biologi dell’Istituto regionale della vite e del vino. Dopo alcune sperimentazione portate avanti negli ultimi anni, infatti, è stato realizzato un clone di Nerello mascalese, grazie al quale, per via di un protocollo d’intesa firmato fra l’Irvv, l’Ente di sviluppo agricolo del Friuli Venezia Giulia (Ersagricola) e il dipartimento di Scienze e tecnologie fitosanitarie dell’Università di Catania, saranno create delle barbatelle destinate ai vivai.
La conseguenza diretta è che chiunque potrà comprare le piantine che l’ente “moltiplicatore”, l’Ersagricola spa friulana, metterà a disposizione dei vivaisti siciliani. Si tratta di 595 piante denominate Nerello Mascalese clone NF5 chi ne sia interessato potrà richiedere il materiale entro il 29 febbraio direttamente all’Ersagricola, Azienda agricola Pantianicco – Beano di Codroipo (Udine) (mail: ersagricola@tin.it). Mentre per il prossimo anno la squadra guidata da Vincenzo Melia renderà disponibile altro “materiale di base” delle varietà Catarratto bianco comune, Nocera, Carricante e Moscato di Noto.
Il Nerello mascalese è una sottovarietà, che si pensa abbia avuto origine sulle pendici vulcaniche dell'Etna nella piana di Mascali. Negli anni Cinquanta questo vitigno veniva coltivato nelle province di Messina e di Catania. Negli anni Ottanta si era diffuso per tutta la Sicilia, diventando la seconda varietà più piantata (dopo il Nero d’Avola). Le sue uve vengono raramente vinificate da sole, ma sono una componente importante di molte doc della regione. Oggi il Nerello mascalese è considerato un complesso di popolazioni clonali molto eterogenee, la cui resa è fortemente condizionata dal versante in cui è coltivato, dal sistema di allevamento (le rese, inversamente proporzionali alle qualità organolettiche e alla concentrazione degli acini, si alzano utilizzando nell’ordine alberello, controspalliera e tendone), dalla densità dell’impianto e dalle pratiche colturali impiegate.
Ma i cloni di Nerello non sono il primo esempio di sperimentazione ad altissimo livello per l’Istituto vite e vino. È noto il successo dei lieviti autoctoni del Nero d’Avola, e poi di un ceppo di lieviti per i bianchi, realizzati dall’Irvv e commercializzati dalla Bio Springer, la multinazionale francese.
Marco Volpe