VIVERE DI VINO
Diego Planeta, alla vigilia del mezzo secolo della Settesoli, traccia un bilancio: “Ma non chiamatemi eroe, ho solo lavorato sodo”. “La sufficienza? Così si può arrivare al massimo”. E poi traccia l’identikit del suo successore
“La Sicilia del vino merita un 6+”
La Settesoli, che quest’anno compie cinquant’anni, la sua avventura a capo di una delle cooperative più importanti (almeno dal punto di vista numerico) d’Italia, la vita trascorsa tra campi e vigneti, il futuro.
Diego Planeta racconta il suo ultimo mezzo secolo: “Ho cominciato ad occuparmi dell’azienda di famiglia quando avevo diciotto anni. Mi ero da poco diplomato in Enologia. Nel 1958 fecero questa cooperativa – racconta dalla sala riunioni di Settesoli, a Menfi, nelle campagne di Agrigento -, mi avvicinai ulteriormente a questa realtà. Allora non c’erano padrini politici”.
Adesso sì?
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“No. (pausa) Lei mi stuzzica. Qui l’unica regola è portare a casa degli utili, bisogna fare bilancio, non si campa di distillazione o di contributi. In una realtà del genere chi non merita non può andare avanti”.
Diceva la Settesoli nasce nel ’58…
“Sì. Poi nel ’65 fui coinvolto in questa avventura; nel ’69 entrai nel consiglio d’amministrazione; nel 1973 diventai presidente. Quest’anno sono 35 anni, sono troppi per chiunque, ci dovrebbe essere un rinnovo”.
Quante volte è stato rieletto?
“Credo quindici”.
Difficile trovare eredi?
“Qui la situazione è molto complessa. Si chiedono doti non normali. Chi coltiva è un agricoltore, difficile portare qui dentro uno che non fa parte dell’ambiente”.
Però la famiglia Planeta un futuro lo ha già. I giovani della sua famiglia si sono fatti strada molto bene nel mondo del vino.
“Ma loro guadagnano sul lavoro. L’incarico di presidente, invece, non viene remunerato”.
Un’idea per un successore ce l’ha?
“Sì”.
Chi è?
“Un imprenditore cinquantenne di questa zona, che ha fatto molto bene anche fuori dalla Sicilia”.
Nome?
“Per ora no”.
Si sente un pioniere?
“Pioniere mi sa di eroe. Io ho solo lavorato tanto da un palcoscenico privilegiato, perché ho avuto la possibilità di viaggiare, di conoscere il mondo e le cose. Ma ci sono anche altri”.
Chi?
“ Giuseppe Tasca, il papà di Lucio, e Marco De Bartoli”.
Però è stato lei uno tra i primi a credere nei vitigni internazionali.
“Questo è vero. L’importazione dei vitigni internazionali per la Sicilia ha avuto un peso enorme, per tre motivi. Innanzitutto perché erano più conosciuti dei vitigni siciliani e quindi era necessario incuriosire i consumatori. Poi perché senza non avremmo mai potuto capire il vero valore dei nostri prodotti perché non avevamo un termine di paragone. Infine non dobbiamo dimenticare che la Sicilia vitivinicola, negli ultimi 80 anni, non aveva fatto nulla sulla ricerca, eravamo una terra di cloni”.
Ha mai pensato di lasciare?
“In tanti anni mi sarà certamente capitato di pensare una cosa del genere. Ma non lascerei mai l’agricoltura. Cos’altro potrei fare?”.
“ Padrini politici? Non ce ne sono, l'unico obiettivo è fare bilancio. Per le raccomandazione non ci può essere spazio ” |
Rifarebbe tutto quanto?
“Noi lo rifacciamo ogni giorno, da zero. Alla mia età non ricomincerei, ma gli spazi certamente ci sono”.
Sarebbe andata meglio se avesse lavorato fuori dalla Sicilia?
“Sicuramente. Qui non funziona nulla. La Sicilia è un arcipelago, tanti mondi diversi. Però non sarei mai andato via, perché la vita non è solo lavoro. Certo, la mia è una prospettiva privilegiata, anche se ho la consapevolezza che se avessi realizzato tutto questo oltre lo stretto avrei fatto di più”.
Per chiudere un voto alla Sicilia del vino.
“6+, così può arrivare al massimo”.
Marco Volpe
foto di Gianfranca Cacciatore