IL CASO
Altro che crisi. La Ferrero chiude un anno pieno di utili e soddisfazioni. E punta alla Cina. Le ragioni di un successo
Nutella a gonfie vele
La notizia arriva a tarda sera nelle redazioni dei giornali. La Ferrero, il gruppo dolciario di Alba, in Piemonte, produttrice della Nutella ha chiuso l’esercizio finanziario 2009-2010 attraverso la sua società lussemburghese che è un po’ la cassaforte del gruppo, con un profitto netto di 347 milioni e ha deciso di spartire dividendi per 280 milioni.
Cifre da capogiro, il tutto grazie a una crema spalmabile a base di cioccolato. Lasciamo perdere le considerazioni sui conti, i raffronti con le gestioni precedenti, le analisi economiche. Non è roba per noi, al momento. Ci preme piuttosto sottolineare come sia stato possibile ottenere un successo del genere, tra l’altro in un momento in cui altri grandi gruppi alimentari in Italia, come nel mondo, vivono momenti di ansia e incertezza per il futuro. Nel caso di Nutella ha funzionato il nome (dall’inglese nut) perché fino ai primi anni ’60 si chiamava supercrema giandujot e non la calcolava nessuno; ha funzionato la società in mano a una famiglia di tradizione e ideali saldissimi ancora oggi – con lo stupore di molti – non quotata in Borsa; ha funzionato forse il cioccolato che diventa spalmabile, il prodotto che addolcisce le nostre paure, i nostri vuoti affettivi, e forse in questi tempi di incertezza la società occidentale ha bisogno più che mai di allontanare angosce e ansie inaspettate e temute; ha funzionato la strategia di un’azienda che ha cominciato ad essere globale quando il mondo era diviso in due blocchi e nessuno immaginava come potesse finire. Ed ora punta in modo determinato alla Cina. Questo ed altro ancora. Per ultimo, ma non meno importante, il fatto che la società sia italiana e forse abbiamo dimenticato quanto il made in Italy sia rilevante nel mondo per il food. Come tutte le medaglie avrà il suo rovescio. Ma tenere a mente il modello Ferrero - o quello più semplicemente legato al prodotto Nutella – sarebbe un bene per tutti quelli che si cimentano nell’agroalimentare. Una lezione per tutti. Ma temiamo forse inutile. Perché la voglia di apprendere e di confrontarsi tra gli imprenditori dell’agroalimentare è pari quasi allo zero. Con buona pace di chi crede che, almeno nel Sud, il settore agrolimentare sia un esempio di sana e rubusta imprenditoria.
F. C.