VIVERE DI VINO
Elisabetta Foradori, produttrice trentina, applica i principi di Steiner: “Per far rivivere la terra”. E sulla Sicilia: “Spesso cercato un successo dalle gambe corte…”
La signora
della biodinamica
Qualcuno la chiama la “signora della biodinamica”. Già perché Elisabetta Foradori (nella foto) da Mezzolombardo, Trentino, della filosofia di Rudolf Steiner è diventata negli ultimi dieci anni una delle più autorevoli ambasciatrici.
Alcuni anni fa, dopo essersi confrontata con alcun colleghi francesi, in particolare col produttore alsaziano Marc Kreydenweiss, ha preso la sua decisione, con una virata verso il metodo biodinamico. L’idea è quella della “terra vista come organismo vivente, con la certezza e il senso di appartenenza al suo ecosistema, al rispetto del suolo e non al suo sfruttamento”. Elisabetta Foradori, da venticinque anni alla guida dell’azienda simbolo del Trentino, è tra i produttori che ha assicurato la propria presenza il prossimo 22 gennaio a Palermo, nell’ambito di De Natura vini, la kermesse di vini naturali organizzata da Cronache di gusto al Telimar di Palermo.
Signora Foradori, andiamo subito al nocciolo della questione: la biodinamica è una questione di moda o di necessità?
“Credo che su questo aspetto ci sia innanzitutto mancanza di conoscenza e questo porta ad una certa tendenza alla generalizzazione. Chi sceglie questa strada vuol rivalutare la terra. È riduttivo e impossibile seguire semplicemente le tendenze, ne verrebbero fuori prodotti falsati. La biodinamica prevede l’applicazione dei principi di Steiner: riportare la vita nella terra, rendendo le piante più forti e capaci di produzioni più vere”.
Da come ne parla sembra un processo obbligato.
“Ognuno è libero di far ciò che vuole. Ma è obbligatorio per fare un ‘vino vero’ l’applicazione di queste regole. Il vino realizzato con l’applicazione finisce per essere solo una mezza espressione del terroir, con un conseguente scadere della qualità”.
Il vino biodinamico è più buono?
“Da decenni beviamo vini ineccepibili, quasi perfetti che ora, personalmente, iniziano a stancare. La bontà sta nel carattere, nell’anima, nell’istinto di un vino che nutre anche l’anima. Lo stesso vale per i cibi industriali”.
Ha cominciato l’avventura biodinamica nove anni fa, qualcuno in azienda ha storto il naso?
“Qualcuno forse l’avrà pensato ma nessuno me l’ha detto. L’azienda andava bene, che motivo c’era di un cambiamento così radicale? Adesso tutti vedono i risultati. Certo, abbiamo dovuto rivedere molti aspetti agronomici ma i risultati sono usciti fuori. Serve una preparazione mentale che aiuti a superare tutte le difficoltà che di volta in volta vengono fuori”.
La soddisfazione più grande?
“I primi risultati arrivano dopo 5 o 6 anni. Ma l’aspetto più importante è il processo di trasformazione e di maturazione che osserviamo nei nostri vini”.
Critiche?
“Forse verso me stessa, per non essere riuscita a dominare l’enologo che è in me, per il timore di sbagliare. E dunque intervenendo, all’inizio, in alcuni processi”.
Cosa la colpisce della vitivinicoltura siciliana?
“Ho la fortuna di avere come amici i proprietari di Cos (Giusto Occhipinti e Titta Cilia, ndr) che mi hanno dimostrato l’importanza della terra. Ma ho visto anche l’applicazione della tecnologia ai vitigni autoctoni che hanno dato i successi dalle gambe corte. Così come anche sull’Etna si è forse cercato un ritorno a breve termine. Voler avere un successo internazionale in fretta è un difetto tutto italiano”.
Ultimo vino bevuto?
“Un Riesling di Rebholz. Ma il vino che mi ha fatto più gioire ultimamente è un Morgon, sottozona del Beaujolais”.
Marco Volpe