IL MANIFESTO
Nel documento, presentato nel corso della manifestazione Vignerons d’Europe a Firenze, anche un appello all’Unione Europea: “Tuteli gli artigiani del vino”
La carta
del buon vignaiolo
I vignerons hanno deciso e hanno messo le loro intenzioni nero su bianco. Stiamo parlando del manifesto dei “Vignerons d’Europe 2009” presentato lunedì 7 dicembre a Firenze, presso il Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, in un’aula gremita di vignaioli provenienti da venti diversi paesi.
La manifestazione è stata organizzata da Slow Food e dalla Regione Toscana. Frutto di una serie di incontri che hanno avuto luogo a Montecatini Terme, dove si è dibattuto circa l’etica, gli organismi artificiali e l’identità stessa dei vignaioli, il manifesto non è stato finalizzato solo alla redazione degli undici punti. L’aspetto più importante della manifestazione infatti, è che queste poche righe verranno presentate alla Commissione Europea che si sta occupando dell’unità relativa all’agricoltura biologica. L’ultimo punto della carta, il vigneron chiede che proprio l’Ue non si dimentichi di lui nella produzione di regolamenti e che non tengano solo in considerazione le esigenze delle grandi aziende vitivinicole, ma anche le loro.
Nei giorni passati a Montecatini, i vigneron hanno inoltre provato a trovare un filo conduttore tra loro cercando di rispettare le differenze che caratterizzano il territorio, le uve o la produzione di ognuno. Un vigneron del nord deve tener conto del suo collega del sud e viceversa, rispettando quel principio di tolleranza, più volte citato. La diversità è ricchezza dunque, ma anche la trasparenza ha un valore fondamentale. Il vigneron deve tenersi lontano più possibile da sostanze chimiche sia sulla pianta che durante la produzione, dicendo ciò che fa e facendo ciò che dice, come recita il manifesto.
Tutti d’accordo sull’autodefinirsi “artigiani del vino”, nella manualità e nell’attenzione rivolta ad ogni singolo prodotto. Ed il nuovo gergo del vigneron include anche il termine “co-produttore” per designare il consumatore finale. È infatti egli stesso che con l’acquisto fa sì che il prodotto si preservi e che non scompaia. Il “vino di plastica” è invece quello derivante dall’industria, un vino senza anima, che non ha nulla da raccontare. Altro aspetto fondamentale è il patrimonio paesaggistico, storico e di identità che il vigneron tutela con l’attenzione che rivolge al suolo e la propria azione bonificatrice, elemento fondamentale che meriterebbe maggior attenzione dai membri della Commissione Europea.
“Senza il vigneron non c’è futuro, né per l’industria, né per la vita e l’ uomo” queste le parole di Roberto Burdese (nella foto), presidente di Slow Food Italia nell’ultimo intervento che ha chiuso la manifestazione. “Non basta definire le proprietà organolettiche del vino, bisogna anche imparare ad identificare quelle culturali”.
Aspettative, attese ma anche grandi certezze negli occhi di chi ancora oggi guardando la terra nutre speranza. Certezza di volere un cambiamento, certezza che quando non si è da soli, si è più forti. Certezza che come ha auspicato Carlo Petrini, guru di Slow Food, la terza rivoluzione industriale parte dalla terra e dagli agricoltori.
Laura Di Trapani