L’INTERVISTA
Giancarlo Gariglio, organizzatore per Slow Food di Vignerons d’Europe in Toscana: “Lotteremo contro l’industrializzazione della campagna”
“Salviamo
il lavoro manuale
nei vigneti”
Vignaioli, più che imprenditori. Artigiani del vino, che seguano la pianta, poi il frutto, poi il nettare fino alla bottiglia nello scaffale. Sono chiamati a raccolta per tre giorni da Slow Food dal 5 al 7 dicembre in Toscana per Vignerons d’Europe. Con che spirito nasce questo raduno?
““E’ un po’ una costola di Terra Madre, organizzato sempre da Slow Food – spiega Giancarlo Gariglio, organizzatore dell’evento per Slow Food –. Organizzando quell’incontro biennale con i produttori di cibo abbiamo pensato di approfondire lo spazio da dedicare ai produttori di vino. La prima edizione, l’anno scorso a Montpellier, era incentrata sulla riforma Ogm; quest’anno parliamo di sostenibilità, ambientale e imprenditoriale. Una sostenibilità ecologica ed economica, che riguarda quindi il mercato, il campo e la cantina. Nostro intento è dare la possibilità ai produttori di trovarsi a discutere delle proprie problematiche, di confrontarsi e programmare il futuro del settore vitivinicolo”.
La crisi economica ha travolto anche il mondo del vino: le grandi aziende sono in vantaggio rispetto ai vignerons?
“La crisi è trasversale e dipende solo dal posizionamento di mercato, ossia da quanto il nome dell’azienda sia famoso, e dalla denominazione che producono: ad esempio il Chianti base e il Barbera d’Asti hanno quotazioni drammaticamente in calo. Il mercato ha bisogno di tutti gli attori. È giusto che ci siano le grandi aziende che hanno il compito di bilanciare gli equilibri: ad esempio quando c’è molta domanda possono calmierare il mercato o quando c’è poca richiesta possono acquistare le rimanenze imbottigliando Igt o vino da tavola. I piccoli hanno invece il compito non indifferente di far conoscere la denominazione a livello internazionale”.
Produttori francesi, tedeschi, ma anche georgiani o romeni: quasi venti nazioni rappresentate con un migliaio di aziende di cui solo un paio siciliane (Riofavara della provincia di Ragusa e Feudo Montoni, fra Palermo e Agrigento). Come mai? C’entra la crisi o la separazione di Slow Food dal Gambero Rosso?
“La divisione dal Gambero Rosso non c’entra nulla: in Sicilia non ha portato problemi né di organizzazione né di rapporti con le aziende. Forse il problema sta nel fatto che, essendo la Sicilia un’isola c’è la lontananza e la difficoltà nel muoversi. E poi c’è un sistema di produzione improntato sì alla buona qualità ma anche ai grandi numeri dell’imprenditoria agricola. Magari c’è stato un risultato poco brillante nel coinvolgimento diretto delle siciliane, ma ci impegneremo molto perché non si ripeta, dedicando maggiore attenzione all’Isola”.
E chi sarà il curatore per la Sicilia della nuova guida al vino di Slow Food (attesa per l’autunno 2010)?
“Di certo non Luciano Pignataro, giornalista del Mattino, che avrà già il compito di coordinare il lavoro per i vini di Campania, Basilicata e Calabria. Almeno fino a febbraio-marzo mi occuperò io stesso dei vini siciliani per la Guida e già a metà dicembre sarò nell’Isola per incontrare i nostri collaboratori e creare una squadra coesa. Il punto di forza starà nelle visite che le nostre risorse effettueranno in tutte le cantine inserite nella guida. A curarla credo sarà poi riconfermato Francesco Abate, che ha già lavorato per il Vino quotidiano”.
Fra crisi, prodotti, vecchi e nuovi mercati, quale scenario crede stia per delinearsi nel mondo del vino?
“Mi sembra una situazione molto simile a quella dell’86, dopo il metanolo: un momento di grandi cambiamenti che pone a un bivio. È diventato più conveniente l’acquisto delle uve e del vino piuttosto che la produzione completa. La parte agricola ha grosse difficoltà, lavorare nei campi non conviene: se si continua così si procede verso l’abbandono dei vigneti, specie quelli non meccanizzabili, per passare a quelli più produttivi. E noi di SlowFood faremo di tutto per tutelare il lavoro manuale nel vigneto e per evitare un’industrializzazione della campagna“.
Antonella Giovinco