A TAVOLA
Pasta sì, pasta no
Pasta si o pasta no? Dopo numerose riflessioni, domande ed interviste, spesso contraddittorie, non ci è rimasto altro che scomodare i due massimi esperti storici di cucina italiana in ambito gastronomico, e cioè Pellegrino Artusi e Padre Mariangelo da Cerqueto, in arte Frate Indovino.
Pellegrino Artusi (Forlimpopoli, 4 agosto 1820 – Firenze, 30 marzo 1911) è stato un critico letterario, scrittore e gastronomo. Il suo “La Scienza in cucina e l'Arte di Mangiar bene” è il testo più famoso nella storia della cucina italiana: 790 ricette, 111 ristampe, oltre 1.000.000 copie (l’ultima autorizzata dallo stesso Artusi è del 1910). Frate Indovino, Mariangelo da Cerqueto al secolo Mario Budelli (Cerqueto-PG, 17 febbraio 1915 – Perugia, 15 novembre 2002), frate francescano, inizia poco dopo, a metà degli anni ’60; arriverà ben presto tra libri e calendari ad un elevatissimo numero di copie stampate. Il suo libro di cucina contempla ben 1.500 ricette.
Entrambi fanno dei distinguo. Innanzitutto “zuppa” è un brodo con aggiunta di erbe e condimenti vari che viene servito su crostini di pane tostato, o altro fondo. “Minestra” è invece un brodo di carne o vegetale nella quale sia stato cotto della pasta o del riso.
Le ricette della tradizione sono divise in due filoni ben distinti e separati, quello delle zuppe e delle minestre. Della zuppa di lenticchie l’Artusi ricorda che è un piatto antichissimo e che Esaù, per vendersi la primogenitura, dovette esserne molto ghiotto o soffrire di bulimia. Mette in guardia: “A me sembra che il sapore delle lenticchie sia più delicato di quello de' fagiuoli in genere, e che, quanto a minaccia di bombardite, esse sieno meno pericolose dei fagiuoli comuni ed eguali a quelli dall'occhio”. Sulla zuppa di fagiuoli, invece, “si dice, e a ragione, che essi siano la carne del povero, e infatti quando l'operaio frugandosi in tasca, vede con occhio malinconico che non arriva a comprare un pezzo di carne bastante per fare una buona minestra alla famigliuola, trova nei fagiuoli un alimento sano, nutriente e di poca spesa. C'è di più; i fagiuoli restano molto in corpo, quetano per un pezzo gli stimoli della fame; ma… anche qui c'è un ma, come ce ne sono tanti nelle cose del mondo, e già mi avete capito. Per ripararvi, in parte, scegliete fagiuoli di buccia fine o passateli; quelli dall'occhio hanno meno degli altri questo peccato”. Assai previdente.
Dice Frate Indovino che quando invece nel brodo di cottura si cuoce riso o pasta, non solo il piatto è più nutriente, ma anche più saporito. Per una buona minestra è indispensabile quindi un brodo, giusto di sale e di aromi nel quale sia poi aggiunta la pasta o il riso a crudo in modo da assorbirne tutto il sapore.
Tirando le fila della questione, come ci ricorda Alberto Rizzo dell’Osteria dei Vespri di Palermo, ci troviamo di fronte pertanto a due “approcci” totalmente diversi. Nel primo si mette in evidenza l’ingrediente principale della zuppa, dunque nel nostro caso il legume, una riflessione che va bene anche per le vellutate. Nel caso delle minestre, invece, la pasta o il riso, diventano assi portanti, il fulcro del piatto stesso ponendo il legume in secondo piano, essendo esse poi notevolmente più ricche di sapore e nutrimento. Il dilemma “pasta si, pasta no” dunque non esiste, ovvero si risolve attraverso il gusto personale.
Per chiudere una ricetta quasi dimenticata tratta dal testo dell’Artusi, la n° 59, la farinata di magro:
“Come minestra ordinaria, si può collocare fra le buone. Mettete al fuoco con acqua proporzionata quattro decilitri di fagiuoli bianchi, che tanti bastano per quattro persone. Dopo cotti passateli dallo staccio e il passato mescolatelo nella broda degli stessi fagiuoli e nella medesima mettete a bollire, per due ore circa, mezza palla tritata di cavolo bianco o verzotto che condirete con sale, pepe e foglie di pepolino, detto altrimenti timo. Ponete un tegame al fuoco con olio a buona misura e due spicchi d'aglio interi sbucciati; quando questi saranno ben rosolati gettateli via e aggiungete all'olio sugo di pomodoro, o conserva sciolta nell'acqua e anche qui un altro poco di sale e pepe; bollito che abbia alquanto, versate anche questo condimento nella pentola ov'è la broda e il cavolo. Per ultimo, quando questo sarà cotto, versate con una mano, a poco per volta, la farina di granturco; coll'altra mescolate bene, onde non si formino bozzoli, e giunta che sia a una certa consistenza, cioè alquanto liquida, fatela bollire ancora un poco e servitela”.
Francesco Pensovecchio