VIVERE DIVINO
Giusto Occhipinti e Titta Cilia della Cos di Vittoria usano la terracotta per produrre il vino. “Così rispettiamo il territorio”. Ecco la loro esperienza
La scommessa
delle anfore
“Et però credo che molta felicità sia agli uomini che nascono dove si trovano vini buoni”. Leonardo da Vinci la pensava così e Giambattista Cilia (detto Titta) e Giusto Occhipinti hanno deciso di dare così il benvenuto a chi si collega al sito internet della loro cantine: Cos di Vittoria, nel Ragusano (cosvittoria.it).
Leonardo, internet, il vino nelle anfore di terracotta. Tre aspetti di un’unica azienda che decide di guardare al metodo di conservazione usato già duemila anni fa, contro le omologazioni che troppo spesso rischiano i vini moderni. “Non vogliamo tradire il nostro territorio – spiega Occhipinti -. Noi cerchiamo la precisione nel luogo in cui lavoriamo, non quella dei wine maker che lavorano nelle aziende. Per noi già fertilizzando un terreno insorge il pericolo di perdere le caratteristiche di una regione, di una provincia. È così che si rischia di avere vini tutti uguali gli uni agli altri. L’omologazione è sotto gli occhi di tutti”. Insomma, niente compromessi perché “accettato uno si accettano tutti”, taglia corto Occhipinti.
Quella di quest’anno è l’ottava vendemmia che finisce nelle anfore di terracotta. “Cominciò tutto con un viaggio in Friuli, dove Josko Gravner stava avviando le sue prime sperimentazioni. I suoi contenitori di terracotta, in arrivo dall’Europa dell’est, però, traspiravano e lui era costretto a spalmarle all’interno con della cera d’api. Un procedimento – continua uno dei fondatori di Cos – che di sicuro ne garantiva l’impermeabilità, ma contemporaneamente non permetteva nessun tipo di traspirazione”.
Da qui i cambiamenti che hanno portato Cos in un’altra direzione: “Abbiamo utilizzato prima contenitori tunisini, poi quelli siciliani, adesso usiamo delle anfore spagnole. Un mix di tre argille stagionate per quattro anni”.
Ma quali sono i vantaggi della conservazione nella terracotta? Ancora una volta i motivi sono legati al bisogni di salvaguardare la natura del territorio in cui si lavora. “Nella terracotta – dice Giusto Occhipinti – il vino traspira come avviene all’interno delle botti di legno, ma non riceve i contributi della barrique. Il vino cambia, in bene o in male, ma indubbiamente cambia. Qui non sono in discussione le barrique, un vino fatto bene è un vino fatto bene, ma per noi questo è quasi un passaggio etico”.
Il vino che viene fuori da questa esperienza si chiama Pithos, un blend di Nero d’Avola (sessanta per cento) e Frappato di Vittoria (quaranta per cento). A Vittoria, intanto, Cos ha 25 ettari di vigneto, da cui vengono prodotte 140 mila bottiglie: il cinquanta per cento delle quali resta in Italia, l’altra metà viene distribuita in venti Paesi all’estero, la parte del leone la fanno gli Stati Uniti, ma una buona fetta di ordini arriva anche da Belgio e Norvegia.
Marco Volpe