Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 162 del 22/04/2010

IL CASO Occhio al tarocco

22 Aprile 2010
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IL CASO

Cinque denunce a carico di altrettanti imprenditori che avrebbero usato impropriamente il nome di Slow Food in Sicilia. Privitera: “Dobbiamo tutelare anche i consumatori”

Occhio al tarocco

Il nome è Slow Food, ma solo il nome. In giro per la Sicilia ci sono due ristoranti, un negozio, un sito internet e un bar che prendono nome dall’associazione del “buono, pulito e giusto” ma che con essa non hanno nulla a che fare. La denuncia arriva dalla sezione siciliana che, dopo aver inviato alcune lettere agli interessati, adesso è stata costretta a presentare degli esposti alla magistratura.


“L’obiettivo – spiega Pippo Privitera, il presidente regionale di Slow Food – è tutelare il nome, soprattutto quel che dà più fastidio è la mistificazione, oltre naturalmente la nostra volontà di tutelare i consumatori”.
Succede che ci sia degli imprenditori, infatti, che hanno deciso di sfruttare l’onda lunga della fama e, perché no, della moda del mangiare slow.
Da qui le cinque cause nei confronti di un bar in piazza Dante, a Catania; di due ristoranti uno sempre nel Catanese, a Trecastagni e un altro a Ragusa; poi c’è un negozio sul corso principale di Taormina; infine un sito internet che ha addirittura impedito all’associazione “vera” di acquistare il legittimo dominio. “Si tratta di un catering – spiega ancora Privitera – che ha addirittura inserito nei suoi menù la filosofia Slow food, niente di male ma non hanno nulla a che fare con noi”. Poi sono arrivate anche delle segnalazioni da Trapani da parte di alcuni soci, ma in questo caso la denuncia non c’è stata, sono soltanto partite alcune lettere. “Qualcuno – conclude il numero uno di Slow food in Sicilia – si è reso conto dell’inganno in cui potevano cadere i consumatori ed è tornato sui propri passi”. Per altri è stato necessario ricorrere alla magistratura.

Marco Volpe