L’ANALISI
La mancanza d’acqua mette in pericolo la raccolta, soprattutto nella zona occidentale dell’Isola. E nel Ragusano è a rischio la produzione della tonda iblea
Il caldo minaccia
l’olio di Sicilia
L’annata olearia sarà buona, anzi ottima, ma non sarà abbondante. Lo dicono i produttori siciliani, che ogni giorno vivono a contatto con gli oliveti, anche se qualcuno preferisce aspettare la metà di ottobre. Solo allora potrà essere scritto un verdetto.
La mancanza d’acqua, le alte temperature nei mesi scorsi, anche in quelli normalmente freddi, e poi vento e pioggia fuori stagione nel momento sbagliato sul versante orientale dell’Isola, sono gli elementi naturali che caratterizzeranno l’olio che finirà sulle tavole italiane (ma non solo) nei prossimi mesi.
«Con queste alte temperature – conferma Gabriele D’Alì, del Baglio D’Alì di Paceco, nel Trapanese – non avremo di certo problemi di attacchi di mosche. L’oliva si presenta buona, qualitativamente avremo un prodotto eccezionale. Ma certamente questo caldo non fa bene, ci sono state scarsissime precipitazioni. Da noi ci sono tre laghetti dunque riusciamo a sopperire, ma altrove le cose non vanno altrettanto bene». Il Baglio D’Alì, in cui sono impegnati anche Silvia Calderone, moglie di Gabriele, e il figlio Giuseppe, produce ogni anno qualcosa come seicento quintali di olio, utilizzando le tre cultivar principali cerasuola (in maggioranza), nocellara, biancolilla. D’Alì ama definirsi un vecchio frantoiano, il primo frantoio lo mise su nel 1961 per una scommessa col padre, che estraeva l’olio utilizzando soltanto presse a doghe e realizzava una pressatura senza fiscoli, il drenaggio veniva fatto con i noccioli delle olive, ora utilizzato per riscaldamento. La sua esperienza è un’esperienza decennale che gli permette di fare una previsione: «Penso si possa parlare di un calo del dieci o venti per cento rispetto al 2006, un’annata che può essere definita buona. Per il futuro non si può dire molto, l’olicoltura, così come la viticoltura, si fa a cielo aperto e non dipende solo da chi coltiva».
Di una «situazione a macchia di leopardo» parla invece Sergio Gafà, numero uno de “La casa di Lucia” a Chiaramente Gulfi (Ragusa). «Alcune varietà – dice Gafà – come la tonda iblea, la nostra specialità da cui nasce anche la Dop Monti Iblei, avrà una scarsa produzione. Il freddo, il vento e la pioggia che hanno colpito le piante nel periodo della creazione dell’oliva sono stati fatali. Altre varietà, invece, hanno sofferto meno, ad esempio la moresca, la biancolilla, le nocellare». E la qualità? Anche Gafà concorda: «Dovrebbe essere ottima, c’è stata pochissima mosca olearia, ma è ancora un po’ presto per parlarne, per avere una situazione precisa dovremo riparlarne a metà ottobre».
Situazione più seria nell’Agrigentino, tra Palma di Montechiaro e Licata. Da quelle parti, a novanta metri sul livello del mare, sorgono i cinquanta ettari di Mandranova, l’azienda di Giuseppe e Silvia Di Vincenzo, tra i pochi che ancora coltivano la Giarraffa, un’oliva da mensa molto ricercata per il suo gusto speziato, ma poco adatta alla produzione di olio vista la grande concentrazione di acqua e dunque la bassa resa. «L’annata non sarà di alta quantità – commenta Di Vincenzo -, subiamo la mancanza di piogge, anche se noi siamo dotati di un sufficiente sistema irriguo. Ciononostante la flessione, soprattutto per quel che riguarda la nocellara del Belice, sarà di circa il settanta per cento».
Marco Volpe