di Andrea Camaschella
In Italia la birra artigianale, salvo rare eccezioni, è nata nella sperduta periferia, in campagna, in paesini sperduti che non avrei mai scovato non fosse appunto per l’amata bevanda.
Basti pensare ai birrifici, nati tra Mentana, in provincia di Roma, grazie alla famiglia Turbacci, Villar Perosa, sulla strada per il Sestriere verso le montagne torinesi dove nacque il birrificio Beba dei fratelli Borio, Piozzo (Baladin), nelle Langhe e nelle vicinanze di Barolo e Barbaresco, ma non proprio il centro del mondo (questo non ditelo però al fondatore, Teo Musso), Lurago Marinone, nel comasco, dove Agostino Arioli iniziò la produzione del Birrificio Italiano. Lo stesso vale per i pub, dedicati alle birre di qualità prodotte da piccoli birrifici non industriali: lo Sherwood Music Pub a Nicorvo (PV) grazie alla lucida (?!) follia di Nino Maiorano, villaggio che per altro si trova a 20 minuti da casa mia, ma che ho scoperto solo grazie al pub attorno al 2000. E’ il caso dell’Abbazia di Sherwood (ve ne ho appena scritto) di Michele Galati a Caprino Bergamasco e si può continuare con l’Ottavonano ad Atripalda (AV), il Goblin a Pavullo (MO) e tanti altri ancora.
E’ il caso della Locanda del Monaco Felice che si trova a Suisio, in provincia di Bergamo, il locale di Claudio Capelli. La Locanda è sospesa nel tempo, così come Claudio. Varcare la soglia è come entrare in un portale spazio-tempo, un luogo non definito nello spazio e nel tempo. Capita soprattutto quando Claudio è solo nel locale, magari attorno all’orario dell’apertura: lui accoglie, facendoti sentire al centro dell’universo, hai una birra in mano che non ricordi bene di avere ordinato, ma è sicuramente quella che avresti ordinato, sei seduto al banco con ancora bicchieri da sistemare attorno. Chiacchieri con Claudio e non necessariamente di birra, anzi raramente di birra. Batti le ciglia, Claudio è scomparso in cucina o in magazzino o forse in cantina, il banco è ordinatissimo, tu hai un’altra birra in mano e davanti hai anche degli stuzzichini per accompagnare la bevuta. E improvvisamente eccolo riapparire davanti a te e riprendere il discorso esattamente da dove lasciato sospeso. Nel frattempo tutti gli altri clienti – ma quando e come sono entrati?! – sono stati serviti e soddisfatti. Ça va sans dire che hai una terza birra in mano e ora che ci pensi te le ha raccontate alla perfezione, in due parole. Tutto sembra fermo, immobile alla Locanda mentre tutto intorno intorno a te va a un’altra velocità, doppia. Claudio ha questa capacità di sembrare fuori posto ovunque quando in realtà è esattamente dove dovrebbe e vorrebbe essere.
La prima volta che entrai alla Locanda, forse fine 2006, l’anno di apertura, o era il 2007, non ricordo esattamente, ci arrivai perché in molti tra cui Giorgio Marconi (uno dei miei fratelli di birra, giudice internazionale e grande appassionato sin dalla primissima ora di birre artigianali) e Michele Galati, me ne avevano parlato benissimo. Poche birre, grandi difficoltà a stare dietro ai fornitori, eppure serata meravigliosa. Perché alla Locanda ogni occasione è così. O meglio con Claudio ogni occasione è così, perché lui non si agita mai, mette a proprio agio, credo di averlo visto arrabbiato – non con me – un paio di volte, lo capisci da un impercettibile movimento del sopracciglio e da altri microscopici indizi. A lui devo la conoscenza diretta di parecchi birrifici dei Paesi Bassi (Claudio ha mamma olandese), è uno dei massimi esperti di birre olandesi, in Italia e non solo, sempre pronto a divulgare le sue competenze con colleghi e clienti, per il semplice piacere di condividere. Molti, quasi tutti direi, i birrifici olandesi che vendono birre in Italia lo devono a lui, perché è lui che li ha portati in Italia o ne ha parlato. Dovrebbe essere nominato ufficialmente ambasciatore delle birre olandesi ma ancora nessuno, lassù tra dighe e canali, ci ha pensato.
Stare al suo bancone, in mezzo al suo popolo, i clienti, gustando alcuni piatti e stuzzichini della tradizione olandese ma rivisitati (vivaddio) dalla metà italiana di Claudio, è qualcosa che non si può davvero spiegare ma che mi manca tanto , tantissimo. E allora ne ho approfittato per chiamarlo e chiedergli le 5 birre – italiane, perché ora è il momento di spingere ancora di più i prodotti italiani – che si berrebbe ora, con me, con noi. Insomma, ecco i 5 suggerimenti di Claudio per passare più piacevolmente il lockdown. Conferme e un paio di birre che non mi sarei aspettato. Ovviamente le vorrei tutte e 5 nel bicchiere, con Claudio a bere con me. Occorre accontentarsi delle birre (e che birre!).
Carrobiolo, Pils
(German Pils, 5,3% Vol. Alc.)
Una delle prime Pils tedesche e classiche del panorama italiano, esecuzione perfetta, malti e luppoli in perfetto equilibrio, pulita e il risultato si vede nel bicchiere: è una birra da centometrista (il tempo che occorre per finirla compete con quello di Bolt).
Hammer Wave Runner
(American Ipa, 6,5% Vol. Alc.)
L’American IPA di Hammer la si capisce al primo sguardo: chiara e limpida; il che porta a una bevuta secca, di carattere ma senza eccessi, preceduta e seguita da una danza di profumi fruttati.
Carrobiolo, Senatrix
(Wild/Sour Ale, 4,6% Vol. Alc.)
Al Carrobiolo il progetto BarriC porta ad affinamenti e ricette a dir poco ardite e a risultati sorprendenti: qui si tratta di una Blanche belga “come una volta”, con un passaggio in anfora e un blend con la Blanche in linea normalmente (Senatrice Cappelli), facile e intrigante da bere.
Endorama, Caliban
(Tripel, 8,5% Vol. Alc.)
La Tripel di Simone Casiraghi, il birraio e fondatore di Endorama. Birra che raramente manca dalla linea della Locanda. Secca, dall’amaro che va oltre lo stile e racconta il carattere di questa birra, senza svelarne la pericolosa facilità di bevuta.
Birra Mastino, Teodorico
(Baltic Porter, 9% Vol. Alc.)
Capolavoro tecnico di Mauro Salaorni, Teodorico è una birra ricca, calda, morbida e suadente quanto piacevole da bere.