di Ambra Cusimano
Negli ultimi mesi abbiamo assistito alla diffusione di un nuovo fenomeno nel campo della ristorazione. Si tratta delle dark, ghost e cloud kitchens. In alcune grandi città italiane hanno cominciato a proliferare nell’ultimo anno, in concomitanza con la diffusione del virus Covid-19.
Si tratta di laboratori di cucina adibiti unicamente per il delivery o l’asporto. Ciò significa che non vi sono al loro interno sale per ospitare i clienti. La rivoluzione della ristorazione per alcuni. Le consegne, nella maggior parte dei casi, vengono affidate a compagnie di delivery che, con i loro siti ed app, divengono vere e proprie vetrine per i ristoratori. Così i virtual brand si possono trovare solo sulle piattaforme digitali. La differenza tra le tre è: la dark kitchen prevede l’apertura di una cucina, di un ristorante già esistente, in un’unità distinta; mentre la ghost kitchen può ospitare al suo interno uno o più brand di uno stesso imprenditore. Nella cloud, infine, vi sono più cucine da affittare ad imprenditori diversi, incentivando il co-working.
(Another Burger)
Abbiamo intervistato i proprietari di una dark kitchen presente a Palermo, che ci hanno illustrato la loro storia ed esperienza. Si tratta di Giorgio Agrò ed Ercole Rubino, giovani palermitani che raccontano: “L’idea è nata in seguito ad un periodo lavorativo trascorso a Milano, città che ha ispirato anche le nostre scelte gastronomiche. Le aziende per le quali lavoravamo hanno dovuto fare dei tagli durante il 2020, in seguito alla diffusione del coronavirus. A quel punto, abbiamo deciso di tornare nella nostra città natale e di investire a Palermo. La scelta è stata ponderata, non abbiamo avuto fretta, ma sapevamo che potevamo cavalcare la cresta dell’onda ed il periodo era propizio. Durante il primo lockdown la gente ha acquisito maggior consapevolezza sul delivery e questo ci ha dato il coraggio di investire sul progetto. La nostra sede è in via Nunzio Morello, ma non troverete alcuna insegna all’esterno che indichi la presenza della nostra ghost kitchen”. I due hanno deciso di lanciare sul mercato tre cucine molto conosciute ed apprezzate, soprattutto dai più giovani. Bohai cucina asiatica, Guacamholy messicana e Another Burger hamburgeria. “Gli hamburger – spiegano – sono il segmento più penetrato ed oggi esso rappresenta il 60% del mercato del delivery”.
(Bohai)
Il costo medio di un hamburger con patatine è di 8 eurp, mentre il costo medio di una pietanza di Bohai o Guacamoholy è di 7 euro. Noi abbiamo provato sia gli hamburger, che ricordano quelli tipici americani, con bun soffici e carni di prima qualità. Stesso discorso per Guacamholy che coglie in pieno le tradizioni culinarie messicane. Un unico laboratorio, standardizzato e professionale, dove vengono preparati tre tipi di cucine differenti. I costi, rispetto ad un normale ristorante sono abbattuti. Si investe sui cuochi, sulla qualità delle materie prime, ma anche sul packaging, fondamentale per far arrivare il prodotto in perfetto stato nelle case dei clienti. Sorgono, però, delle perplessità sulla durata di questo settore quando tutto sarà tornato alla normalità, ma a questo i ragazzi replicano dicendo: “L’utente che conosce il servizio e lo apprezza, difficilmente lo abbandonerà. Si potrebbe riscontrare un lieve calo all’inizio, ma sarà certamente di breve durata”. Ad avallare la loro tesi le ultime ricerche portate avanti da Ubs, secondo cui il mercato globale del food delivery è attualmente valutato intorno ai 35 miliardi di dollari, con una crescita annua del 20%. Ciò significa che entro il 2030 lo stesso raggiungerebbe la straordinaria cifra di 325 miliardi.
(Guacamholy)
Andando verso nord, e più precisamente nella capitale industriale e finanziaria italiana, Milano, scopriamo la prima ed unica cloud kitchen presente sul territorio. Si tratta di Kuiri, il cui fondatore, Paolo Colapietro spiega il suo progetto. “L’azienda è stata fondata a settembre 2020 e si ispira ad un modello stanutitense da me studiato durante un periodo in cui mi trovavo in California. Kuiri è formata da 5 postazione, ognuna delle quali è subaffittata ad imprenditori diversi. In passato ho affittato laboratori di cucina a chi ne aveva bisogno. Da lì ho intuito che la necessità di postazioni poteva divenire un business. Gli affittuari pagano una fee mensile per usufruire dei commercial kitchen space. Un modo per testare il proprio prodotto sul mercato, evitando investimenti potenzialmente rischiosi”. A breve, sempre a Milano, verrà inaugurata una nuova ghost kitchen con 10 postazioni. Anche Massimo Maria Viola, imprenditore laziale, ha creduto nelle potenzialità di una ghost kitchen con sede nella capitale. Food Prime nasce nel 2020, prima dell’inizio del lockdown e racchiude al suo interno Sushi Kong, Wizard Pokè e Polletto. Il successo ottenuto ha spinto l’imprenditore ad ampliare ed investire anche su Milano. Viola racconta: “La tendenza del mercato in Italia per il food delivery è in aumento, soprattutto per coloro che si attardano a lavoro. Pokè e sushi sono i prodotti più gettonati. In un anno gli ordini si aggirano intorno ai 15.000, nonostante vi sia una variabile nei giorni: durante la pandemia, nel weekend c’è stato un incremento degli ordini. Mentre, nei periodi di apertura, i giorni più proficui sono il giovedì e la domenica”. Come i colleghi siciliani, concordano che si è entrati in una nuova era, dove, per gustare del buon cibo, si ricorre anche ad altri canali e che il futuro è “dark”.