Il conte (nella foto): dai francesi abbiamo ancora da imparare
Conte Paolo Marzotto, il mondo del vino sta subendo grandi trasformazioni. Calano i consumi in Italia, l’export sta diventando fondamentale, la crisi fa sentire i suoi morsi. Gli imprenditori come stanno reagendo?
“Alcuni s’inventano prodotti nuovi che vendono a prezzi estremamente elevati ad una categoria di persone che vuole spendere di più senza alcun informazione sulla qualità reale del prodotto se non la pubblicità. Altri producono prodotti che vendono a prezzi talmente bassi che dovrebbero far dubitare del contenuto delle bottiglie. Infine alcuni imprenditori ripensano le strategie, comunicano in modo più sistematico, e producono in modo più economico, logico ed ecologico. Il mondo del vino a subito grandi trasformazioni negli ultimi 50anni ma è evidente che la globalizzazione dei consumi, e la conseguente crescita esponenziale degli stessi, la crisi del sistema capitalistico e le evoluzioni (rivoluzioni) tecnologiche abbiano generato nuove ed importanti trasformazioni. In questo quadro l’export è sì fondamentale ma se si è capaci di guardare più a lungo termine ci si rende conto che crearsi un nome a livello nazionale, e ancor più locale, sarà supporto fondamentale per il proprio vino all’estero. Anche perché le trasformazioni nel mondo del vino sono affiancate e a volte provocate dagli ostacoli che le burocrazie dei paesi, sia importatori che esportatori, creano rendendo gli scambi di questo prodotto sempre più complicati e frenando l’aumento dei consumi mondiali. In particolare, i paesi che sarebbero compratori -Cina, Giappone, Russia, paesi del nord Europa, Isole minori della Gran Bretagna, Scozia, Irlanda- inventano balzelli, imposte e tutto quanto possibile per frenare l’importazione del prodotto che pure potrebbe educare ad un consumo più qualitativo ed a gradi alcolici più bassi con un importante vantaggio in termini di salute pubblica. A questo si aggiunga che i così detti “nuovi produttori” Stati-Uniti, Argentina, Cile, Uruguay, New Zelanda, Australia, Sud-Africa sono oggi anche grandi esportatori. Il risultato di tutto questo è definito crisi di mercato”.
C’è una strategia possibile per frenare il calo dei consumi?
“Il calo dei consumi “si frena” con un cambio dei consumi. Nei Paesi tradizionalmente produttori e quindi esportatori i governi stanno facendo terrorismo psicologico mischiando le malefatte dell’abuso con il piacere e i benefici di un consumo sensato. Per fortuna questa situazione sta evolvendo grazie alla capacità dei consumatori a modificare il loro comportamento, così gli Italiani come i popoli dei paesi produttori storici non consumano più il vino in modo quotidiano ma occasionale. Da qui l’obbiettivo di moltiplicare le occasioni di consumo, rinforzare la nostra presenza nelle medesime, ed associare i nostri prodotti ai nuovi “rituali” di consumo. Inoltre, dato il carattere occasionale del consumo, i consumatori sono disposti a investire maggiormente, accedendo così a prodotti più qualitativi. Questo nuovo modo di consumare è dunque un occasione per un’azienda come Baglio di Pianetto che ha sempre puntato alla qualità del prodotto. A questo tipo di lavoro bisogna sicuramente affiancare un lavoro presso i nuovi consumatori dei mercati che presentano consumi in aumento, allargando così la paletta dei consumatori di vino di qualità”.
Come insegnano Oltralpe il vino è un prodotto legato al territorio. Ma gli italiani hanno ancora parecchie cose da imparare dai francesi? Se sì, che cosa?
“L’uso del territorio in Italia è mal controllato. Se pensiamo che nel nord d’Italia si imbottigliano milioni di litri di vino definito Nero d’Avola , che lo stesso accade per uve come il Müller Thurgau e il Pinot Nero (Blauburgunder) che vengono prodotti nelle Puglie, in Sicilia ci si rende conto che non esiste ancora una strategia ed un controllo del territorio.
Dai francesi dobbiamo imparare certamente. Hanno incominciato per primi e da molti anni a legare il vino al territorio, hanno curato quindi l’immagine del territorio insieme alla qualità del prodotto e alla qualità della casa produttrice, hanno stabilito delle appartenenze a categorie di vini che distinguono i prodotti secondo il contenuto di valore che hanno. Questo a permesso anche zone che potevano sembrare meno adatte all’enologia, per questioni climatiche, di diventare campioni della produzione dell’enologia scelta. Per parlare dei più noti diremo: Bordeaux, Bourgogne, Champagne. Ci sono molte scelte fatte dai francesi dalle quali possiamo imparare con un’eccezione: quella di dare ai vini dei valori e dei prezzi talvolta incomprensibili. Quando compro un mobile del settecento, posso comprare un tesoro, così come posso comprare un tesoro quando compro un mobile di un designer contemporaneo e quindi costruirmi un patrimonio, quando si compra un vino che ha dieci, venti, trenta o quaranta anni, a certi prezzi si rischia più facilmente di rimanere delusi”.
Una dozzina di anni fa è partita la sua scommessa siciliana. Dopo tutti questi anni possiamo tracciare un bilancio?
“Certamente lo possiamo fare! Gli 88 ettari a 650 metri acquisiti nel 1997 a S. Cristina Gela, a pochi chilometri da Palermo, uniti agli altri 70 ettari acquistati nel 1998 a Noto mi hanno permesso di mettere solide basi per costruire la Baglio di Pianetto. In queste due proprietà con caratteristiche pedoclimatiche differenti allevo le uve destinate ai miei vini con la qualità da me voluta e ricercata sin dall’inizio. Negli anni le strategie commerciali, come è naturale sia, si sono modificate per rispondere alle mutate esigenze del mercato ed oggi possiamo dire di aver iniziato a raccogliere i frutti di questo lavoro. Personalmente la nota positiva di questo bilancio è l’impegno, l’intelligenza e la passione che i miei nipotini stanno impiegando nell’azienda. Di fatto non mi sarei mai sognato di mettere in piedi un’azienda così per il piacere di lavorare anche da vecchio se non avessi avuto figlie e nipoti. Oggi la Baglio di Pianetto è un’impresa di famiglia, l’imprenditore è diventato patriarca e sono certo che anche i risultati saranno patriarcali. Allora la mia scommessa siciliana si sta incamminando a buona conclusione e non posso che essere ottimista per il futuro!”.
Eppure la Sicilia del vino va avanti ma talvolta in modo un po’ disordinato. Si farà mai sistema?
“Qualunque impresa che vada avanti deve darsi una regola, aggiustare il tiro, usando le competenze dell’imprenditore ma anche la saggezza dell’agricoltore. Allora, se la Sicilia del vino va avanti in modo disordinato, come dice Lei, vuol dire che ci sono alcune aziende che hanno iniziato a riordinare le proprie idee ed azioni. Oggi però le cose stanno cambiando, sempre più l’imprenditore è anche padrone delle terre e la sua famiglia è coinvolta, come sta succedendo per noi; questo implica un impegno ed un desiderio più importante di far cambiare le cose”.
La Doc Sicilia è quasi una realtà. Sarà un volano come si aspettano i suoi sostenitori?
“Purtroppo non credo che questo istituto ne quelli analoghi rappresentino un toccasana. Credo che Doc, Igt e questo tipo di certificazioni, siano stratagemmi per reclamizzare un’area, privi di un controllo qualitativo e quindi inadatti a dare al consumatore la certezza di agire nei suoi interessi. Per quanto mi riguarda c’è molta strada da percorrere prima che la Doc diventi protezione del consumatore e senso di responsabilità del produttore”.
Consiglierebbe a un giovane di cimentarsi nella produzione di vino? In Sicilia come altrove?
“Sì, ma ad alcune condizioni. La prima, ed essenziale, è d’essere consapevole che l’agricoltura non è, e non sarà mai, una sicurezza. Il mondo si è modernizzato, il modo di produrre anche, l’uomo ha sempre più cose sotto controllo ma il clima non si può modernizzare e la natura non si può regolare. In secondo luogo ritengo importante d’aver acquisito le competenze e la conoscenza necessaria per lavorare in questo settore. Personalmente trovo che le scuole oggi sono molto ben attrezzate per formare ai mestieri legati all’agricolture. In ultima, una condizione che aiuta sicuramente, è che la famiglia provenga già dal settore. Quindi se questo giovane è paziente, professionale, onesto e costante potrà essere un imprenditore-agricolo di successo e quel che è più importante potrà trarre grande soddisfazione dal suo lavoro”.
Fabrizio Carrera