Da una denuncia è partita l'indagine dei Nas. Secondo l'accusa, il presidente del consorzio Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani avrebbe imbottigliato vino Docg non rispettando il rigido disciplinare
Quattro mesi di reclusione con la condizionale per tentata frode in commercio e falso. È questa la pena patteggiata dal presidente del Consorzio di tutela del Barolo, Orlando Pecchenino e per il fratello Attilio. La sentenza è stata emessa dal gip del Tribunale di Asti, Federico Belli.
La vicenda risale al 2016. Orlando Pecchenino, produttore a Dogliani e dintorni e presidente del consorzio Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, a seguito di un controllo da parte dei Nas, avrebbe ricevuto la contestazione per aver effettuato operazioni di vinificazione di Nebbiolo da Barolo dell’annata 2015 fuori dalla zona di origine del vino stesso. A quanto pare tutto sarebbe partito da una denuncia presentata in una stazione dei Carabinieri e con tanto di firma. Il Disciplinare del Barolo stabilisce che le operazioni di vinificazione e invecchiamento obbligatorio siano fatte nella zona di origine delle uve. A questa regola ci sono due deroghe: la prima riguarda le aziende storiche che hanno maturato il carattere della tradizione, purché si trovino in alcuni paesi delle province di Cuneo, Asti e Alessandria; la seconda riguarda le aziende con la cantina nei Comuni della zona di origine, ma al di fuori della zona del Barolo (8 su 11 paesi non hanno l’intero territorio in zona). Queste possono vinificare le uve Nebbiolo nelle loro cantine, se dispongono a vario titolo di vigneti nella zona del Barolo e con contratti di più anni. Orlando Pecchenino è titolare con il fratello Attilio di un’azienda vitivinicola con vigneti e cantina a Dogliani, ma da tempo ha acquisito terreni e cantina anche nella zona del Barolo, a Monforte, a poca distanza dal centro aziendale doglianese. E l’azienda si è sempre distinta per il rigore produttivo e la qualità dei vini.
La sentenza ha stabilito che “entrambi compivano atti idonei consistiti in primis nel classificare come vino atto a diventare Barolo Docg 142,87 ettolitri di vino annata 2013, 168 ettolitri di vino annata 2014 e 150 ettolitri di vino annata 2015 in violazione al relativo disciplinare di produzione, poiché le operazioni di vinificazione delle uve nebbiolo da Barolo non erano state effettuate nel territorio tassativamente stabilito dal disciplinare di produzione”, bensì nella cantina di Dogliani. Inoltre, “attestavano falsamente in atto pubblico che la vinificazione delle uve nebbiolo da Barolo avvenissero presso la cantina ubicata in Monforte d’Alba affinché il vino ottenuto potesse acquisire la denominazione Barolo Docg”. Il Gip ha disposto anche la trasmissione all’Ispettorato centrale repressione frodi del Mipaaf degli atti relativi per eventuali sanzioni amministrative. Non c'è dubbio sulla qualità dei vini, visto che si tratterebbe di soli pochi chilometri di distanza tra le due cantine, ma sufficienti per superare il confine stabilito dal rigido disciplinare e per mettere in imbarazzo chi, come Orlando Pecchenino, è stato chiamato a presiedere il Consorzio di tutela del Barolo. “La scelta di patteggiare è stata un compromesso al quale abbiamo dovuto sottostare per la sopravvivenza dell’azienda – dice l’avvocato Luisa Pesce del foro di Asti, che ha difeso i due fratelli -. Abbiamo rinunciato a presentare le nostre difese volte a dimostrare l’estraneità alle accuse, a vantaggio di rientrare nella disponibilità del prodotto per poter proseguire nell’attività”. Le tre annate, infatti, sono state dissequestrate e potranno essere regolarmente commercializzate in parte come Barolo Docg e in parte come Langhe Nebbiolo Doc.
C.d.G.