di Giorgio Vaiana
Non vogliono mettersi l'uno contro l'altro. E lo precisano subito. Da un lato c'è il consorzio del Pistacchio di Raffadali, prossimo alla Dop. Dall'altro, il consorzio del Pistacchio di Bronte, Dop dal 2009.
Proviamo a fare ordine. Il consorzio del Pistacchio di Raffadali ha fatto richiesta della Dop qualche tempo fa. Dopo la lunga trafila burocratica, in Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato il disciplinare. Ma c'è stato un brusco stop. Perché prima che il documento arrivi a Bruxelles per l'approvazione, si può fare opposizione. E così è stato. A sorpresa, dai “cugini” di Bronte che hanno chiesto al Ministero alcuni chiarimenti. “Attenzione, però – dice il presidente del consorzio del pistacchio di Bronte Enrico Cimbali – non è che pretendiamo che la Dop sia solo una nostra esclusiva. Abbiamo chiesto solo dei chiarimenti”. Il primo dubbio del consorzio che si trova all'ombra dell'Etna è il disciplinare, “copiato in molte parti”, spiega Cimbali. Poi la questione territorio: “Il Pistacchio di Raffadali può essere prodotto e certificato in 31 comuni – spiega il presidente – una superficie molto estesa, anche se dal ministero ci hanno detto che esistono Dop con territori molto grandi”. Poi la questione unicità: “Il nostro, quello di Bronte, ha caratteristiche uniche per via dei terreni lavici che gli donano caratteristiche molto precise – spiega Cimbali – Quello di Raffadali è uguale al pistacchio che si trova nel resto della Sicilia”. E infine, il tema della quantità che si può raccgliere in base agli ettari. A Bronte, viene effettuato un raccolto ogni due anni, con un rapporto di 1.700 chili per ettaro a biennio. A Raffadali, il raccolto è annuale ed è stato stabilito in 2.500 chili per ettaro, “pur avendo molte meno piante di noi – dice il presidente – E ci preoccupano tante cose”. Ma non il riconoscimento della Dop, precisa il presidente: “Assolutamente no, ben vengano queste cose – spiega – Siamo certi che non ci sarà concorrenza sleale e i prezzi saranno uguali ai nostri. Ma chiediamo più chiarezza, soprattutto sulla questione delicata della frode”.
Ma da Raffadali predicano calma: “Il nostro pistacchio è diverso – dice Salvo Gazziano, uno dei fondatori dell'associazione del pistacchio di Raffadali – non è né migliore né peggiore. Loro hanno fatto opposizione e questo lo abbiamo accettato. Ora dobbiamo attendere la risposta del ministero e poi l'eventuale percorso a Bruxelles”. “C'è stata questa opposizione – dice Luigi Polizzi, dirigente del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo – ed il nostro compito adesso è analizzarla e preparare una risposta. Ma ci siamo quasi”.
Secondo Raffadali, però, l'opposizione dei “cugini” di Bronte non ha senso: “Perché di base – spiega Gazziano – per la presentazione della nostra Dop abbiamo tenuto conto di tre elementi: la storicità del prodotto, le caratteristiche organolettiche del pistacchio, diverse da quelle di Bronte, evidenziate con studi fatti in tre annate e l'estensione territoriale che tiene conto della continuità territioriale, nonostante il numero dei comuni”. Proprio sul numero dei comuni è la querelle: erano 13 inizialmente, solo della provincia di Agrigento. Sono diventati 31 in sede di lettura pubblica del disciplinare con l'inserimento di nuovi consorziati, compresi due produttori della provincia di Caltanissetta. Ma da Bronte mettono in discussione anche la produzione artigianale: “Noi siamo certi del nostro lavoro – dice Gazziano – abbiamo sempre fatto tantissimi incontri. Ora attendiamo il ministero”.
La Dop del pistacchio di Bronte si estende nei territori di Bronte, Adrano, Biancavilla ed è caratterizzata da terreni di origine vulcanica, che hanno buona fertilità e ph neutro, e da un clima mediterraneo subtropicale. Le caratteristiche pedoclimatiche e la tecnica della degemmazione consentono di trarre vantaggi nella difesa fitosanitaria e di raccogliere ogni due anni oltre 30.000 quintali di pistacchi. Al momento il prezzo del pistacchio in guscio è di circa 14 euro al chilo, mentre per quello sgusciato si sale a 36 euro al chilo, con una differenza di prezzo tra il pistacchio Dop e il convenzionale di 1,50-2 euro al chilo. La tipologia del terreno lavico – chiariscono al Consorzio di tutela – ha impedito l’uso di qualsiasi tipo di meccanizzazione, non consentendo quindi di diminuire gli elevati costi di produzione. Le uniche macchine che vengono utilizzate in qualche azienda sono decespugliatore, motozappa e motopompa di potenza ridotta. Per il resto prevale la fatica dell’agricoltore, fatica che viene ricambiata da un pistacchio di qualità eccezionale.
La Dop di Raffadali, inizialmente di 13 comuni (Raffadali, Joppolo Giancaxio, Santa Elisabetta, Agrigento, Cianciana, Favara, Racalmuto, Sant’Angelo Muxaro, San Biagio Platani, Cattolica Eraclea, Casteltermini, Santo Stefano Quisquina, Aragona), si è allargata ad altri 18 (Comitini, Grotte, Montallegro, Alessandria della Rocca, Siculiana, Realmonte, Naro, Porto Empedocle, Castrofilippo, Campobello di Licata, Ribera, Canicatti, Palma di Montechiaro, Ravanusa, Camastra; Montedoro e Serradifalco in provincia di Caltanissetta). La zona di produzione risulta caratterizzata da terreni di origine calcarea e da un clima mediterraneo sub-tropicale, semiasciutto, con estati lunghe e siccitose, piovosità concentrata nel periodo autunnale ed invernale e notevoli escursioni termiche tra il giorno e la notte. Gli impianti, nel territorio dove si coltiva il pistacchio di Raffadali, sono prevalentemente di tipo artificiale: nella messa a dimora delle piante di terebinto, vengono privilegiate le esposizioni più soleggiate, prevalentemente a Sud e i substrati di origine calcarea.