(Riccardo Cotarella)
da Milano Michele Pizzillo
Hanno contribuito a fare la storia del vino italiano, ma arrivando da attività letterarie diverse: Luigi Veronelli dalla filosofia, Mario Soldati dal cinema, Paolo Monelli dalle corrispondenze di guerra.
E, quindi, tre stili differenti, tre diversi mondi lessicali, tre modi insoliti di raccontare il vino, di intraprendere un cammino che li porterà sulle tracce di quella cultura contadina che aveva plasmato la società italiana e che nel ‘900 attraversato da innovazioni e ammodernamento delle pratiche agricole, rischiava di soccombere. E, così, il comitato scientifico presieduto dall’enologo Riccardo Cotarella che sovrintende al Padiglione “Vino – A taste of Italy” ha pensato a questi tre scrittori come protagonisti del secondo convegno organizzato per evidenziare l’aspetto culturale del vino e, contestualmente arricchire di contenuti culturali lo spazio che Expo ha riservato ad uno degli ambasciatori dell’eccellenza italiana nel mondo, il vino di qualità.
All’interessante convegno condotto dal giornalista Gigi Brozzoni del “Seminario permanente Luigi Veronelli” hanno partecipato Luca Clerici, docente di Letteratura dell’Università di Milano; Alberto Capatti, storico della cucina, co-curatore della mostra alla Triennale di Milano “Camminare la Terra”; il giornalista e gastronomo Giuseppe Lo Russo; il giornalista enogastronomico Andrea Gabbrielli; il giornalista Andrea Del Cero e il sommelier informatico Andrea Gori. Interventi che hanno ricreato una sorta di nuovo viaggio storico-letterario nell’enogastronomia italiana “attraverso le interpretazioni di questi tre grandi che percorrendo l’Italia in lungo e in largo, hanno raccontato di uomini, cibi, vini e tradizioni gastronomiche che non sono andati smarriti durante la trasformazione dell’Italia da Paese contadino a industriale”, dice Cotarella.
“Un’occasione, questo convegno, per scoprire anche quei giornalisti e scrittori del passato che con il loro narrare hanno contestualizzato l’opera dei giornalisti più noti”, aggiunge Brozzoni. “Tant’è vero che con il boom economico si creò nuovo tipo di domanda e un nuovo tipo di consumatore – sottolinea Andrea Gabbrielli -. Così negli anni ’50 e ’60 oltre a Monelli, Soldati e Veronelli, molti intellettuali, giornalisti, scrittori, si sono cimentati con il vino e la gastronomia contribuendo in modo non banale alla conoscenza e alla valorizzazioni di questi temi. Cito Piero Accolti, Felice Cùnsolo, Livio Jannattoni, Rossano Zezzos, Luigi Volpicelli, Renato Ratti, come dimostrazione di quanto sia ampia e ricca di sfumature la nostra cultura del cibo e del vino”.
Mentre Dal Cero si chiede: se fossero qui cosa berrebbero oggi Monelli, Soldati e Veronelli? Paolo Monelli berrebbe, con rinnovato stupore per i progressi dell’enologia contemporanea, qualsiasi vino gli fosse proposto. Mario Soldati, prima scrittore e narratore poi soggettista, sceneggiatore e infine regista cinematografico e televisivo, oggi chiederebbe un calice di vino rosso di grande stoffa e ci ricamerebbe sopra una bella storia di cui lui stesso, a guardar bene, sarebbe in qualche modo protagonista. Luigi Veronelli oggi, a parer mio non ci sarebbe. Sarebbe riuscito ad organizzare un “fuori salone” con tanto di produttori, distributori, consumatori e stampa da tutto il mondo. “D’altronde le due strade di Luigi Veronelli (la cucina e il vino) sono la genesi di un connubio difficile – sottolinea Capatti -. Capace, anche, di cercare una terza via per raccontare il vino, le guide”. Con viaggi in tutta Italia per le sue riflessioni sui territori, sulle pratiche in vigna e in cantina, rivendicando dignità sovrana per il vignaiolo e riconoscimento per il frutto del suo lavoro”.
“Prima di lui, però, c’è stato Monelli, che nel Ghiottone errante (1935) compie un tour lungo lo Stivale in compagnia di Novello, pittore e vignettista astemio e morigerato – spiega Clerici -. Le discussioni fra i due animano un viaggio alla scoperta dei vini e dei cibi genuini divertente e raffinato, perché scritto con brio e con un’attenzione particolare alla lingua, degustata come un buon calice in pagine di notevole suggestione”.
Mentre, guardando al futuro, la via italiana al blog sul vino nasce come risposta alla riduzione di spazi sulla carta stampata e si prefigura all’inizio come una riproposizione dello stesso modo di scrivere tradizionale su un formato diverso di cui si ignorano le potenzialità – sottolinea Andrea Gori -. Nascono poi i primi “blogger” puri nel senso che pubblicano i loro scritti, le loro recensioni e i loro viaggi nel vino esclusivamente online prima sui blog e poi sui social network”.
E, siamo al futuro. Importante, però, è capire che il vino ha bisogno di essere comunicato. Quanti lo fanno oggi, senza bisogno di strillare e di litigare? Pochi. “E questo non agevola la causa del vino – ammette Cotarella -. Eppure scrittori capaci di scrivere con competenza e brio di vino, ce n’è a iosa. Ma, ancora non si è capito di avere nelle mani in vero e proprio tesoro. E noi operatori del settore – aggiunge Cotarella – vorremmo affidare la comunicazione del vino italiano ad un novello Soldati, un neo Veronelli, a un narratore alla Monelli. Perché riteniamo che il vino ha bisogno di essere comunicato da persone autorevoli”.