La ristorazione siciliana sta crescendo, e il vino dovrà adeguarsi a questo trend.
“E’ una crescita più culturale che di qualità. Il committente, meglio dire l’avventore seduto al tavolo di un ristorante, o l’acquirente dell’enoteca, cerca comunque di bere bene e meglio, cercando però di dispender meno. E lo ritengo un grande e significativo segno di maturità e di emancipazione. Per questo Heres ha voluto celebrare, e in pompa magna, questo mercato che cambia scegliendo la Sicilia, e il Grand Hotel “Il Timeo” di Taormina, per l’annuale appuntamento con i nostri estimatori”. Così Cesare Turini, patron di una società di servizi rivolta alle aziende produttrici di vino di alta qualità il cui core business sta nell’offerta di un portafoglio prodotti di alto profilo per il canale Horeca, stila la motivazione della scelta siciliana e a cui aggiunge un ulteriore elemento di agnizione alle tre aziende siciliane del catalogo, con un esplicito plauso ad Hauner, De Bartoli e a Mark De Grazia di Terre Nere.
Forte dei suoi 124 agenti sguinzagliati sul mercato italiano a gestire diecimila clienti, la Heres ha chiuso il 2011 con un fatturato di dieci milioni di euro generati delle 600mila bottiglie piazzate su tavoli e scaffali dell’Horeca con un aumento in volumi (+25%, valore non ancora definito, in barba ad ogni crisi), anch’esso a doppia cifra.
Cesare Turini intrattiene gli ospiti, a sinistra Patrizia Di Benedetto
La vis di questa organizzazione sta tutta nella solidità del suo brand sul cui petto splendono le stellette di marchi italiani Manni Nössing, Vietti, Le Macchiole, Querciabella, Petrolo, Case Basse Villa Russiz e altri ancora più importanti che si aggiungono agli stranieri dal prestigio echeggiante tra cui i francesi Jean Milan, Fleury e Château de La Tour tanto per citarne tre. Sono stati quest’ultimi i desk più “cliccati” nell’affollato salone del Timeo dove hanno furoreggiato il millesimato iDoux, il biodinamico Brut Cépage Blanc de Fleury, e il Pinot dello Château de la Tour, che con le etichette delle altre tredici aziende ha reso chiara la fama intramontabile e irraggiungibile della Borgogna.
Valerio Capriotti e Angelo di Stefano del ristorante Duomo di Ragusa Ibla
Tra gli italiani tanto stupore per i bianchi altoatesini e friulani, in particolare: il Kerner di “Nossing”, firmato dal sicilianissimo Vincenzo Bàmbina, il Sauvignon Villa Russiz, il Barolo di Vietti, fiero del”98” di Parker, i blend dei “Bordolesi di Toscana” della Biserno, la perfetta interpretazione del Chianti classico dell’azienda Querciabella. I siciliani non hanno sofferto alcun complesso di inferiorità , anzi si sono mostrati con petto gonfio d’orgoglio: “I De Bartoli”, che hanno presentato il loro sorprendente Grappoli di Grillo dopo aver già detto tutto quello che si poteva dire con il loro Marsalada alta gamma; gli “Hauner” new entry, non più solo Malvasia ma vini secchi di gran qualità, fornendo l’esempio col Salina Bianco, il Salina Rosso e il Carlo Hauner. Infine con Mark De Grazia a tenere alto il nome della viticultura etnea presentando un eccellente Feudo di Mezzo che nobilita un’annata che passerà alla storia come una non delle migliori.
E pensare che uno degli obiettivi da raggiungere nei nascenti programmi dell’Heres era quello di “vincere il vero tallone d’Achille della Sicilia, ovvero le sue difficoltà ataviche sia nel proporsi sia nella sua capacità di sapersi vendere”, sosteneva Cesare Turini.
Non è un bizzarro paradosso dinnanzi alle altre, tantissime eccellenze, del vino siciliano?
Stefano Gurrera