(Gianmarco Moretti, lo chef Matteo Vigotti, Gianna Nannini e Albano)
da Milano, Michele Pizzillo
Le prime suggestioni, al convegno del viaggio nell’Italia del vino che si è svolto ad Expo, nel padiglione allestito da Veronafiere, li ha offerti Luciano Ferraro del “Corriere della Sera”, che ha introdotto e coordinato i lavori, quando ha parlato di quelle terre tutelate dall’Unesco come patrimonio dell’umanità.
Poi ci ha pensato il giapponese Isao Miyajima, che dal 1983 ha vissuto gli anni del rinascimento enologico italiano, a riscaldare gli animi della platea con il suo modo brillante di raccontare i viaggi che ha fatto nelle aziende toscane, all’epoca non molto ospitali. Ma il meglio si è avuto durante la colazione da Peck, il ristorante allestito dentro Palazzo Italia, dove il finger food preparato dallo chef Matteo Vigotti che non ha sbagliato nessun piatto, è stato accompagnato dal Barolo Mirafiore di Oscar Farinetti, spumante da Negroamaro amaro Noi3 di Futura 14 di Bruno Vespa, Cabernet franc Narnot di Le Madeleine di Massimo D’Alema, Barbera La Maga del Castello di Cigognola di Gian Marco Moratti, dal blend di Negroamaro e Primitivo Platone delle Tenute di Albano Carrisi, dal Sangiovese Innno (tre enne, non è un errore) della Certosa di Belli Guardò di Gianna Nannini, Grechetto di Todi bianco del Cavaliere della Cantina di Luisa Todini: professionalità diverse prestate al mondo del vino che stuzzicate dal direttore del Tg2 Marcello Masi, non si sono risparmiate a raccontare perché hanno deciso di coltivare la vigna, trasformare l’uva e imbottigliare.
(Il tavolo dei Vip)
E, così, le relazioni dei tre giornalisti stranieri, l’austriaco Christian Eder, l’inglese Patricia Guy e il già citato Miyajima, la dotta esposizione del geopedologo Francesco Lizio Bruno sono state subito dimenticate anche grazie alle improvvisazioni canore di Albano che è riuscito a coinvolgere la Nannini a cantare insieme “Nel Sole” e ai sette “vipponi” che non si sono risparmiati a raccontare aneddoti personali circa il modo e il momento di avvicinarsi al vino.
(I relatori)
A parte queste note di colore, e il racconto, più o meno interessante, del gran tour dei tre giornalisti chiamati a parlare delle proprie esperienze, dall’incontro ad Expo voluto dal Comitato scientifico del Padiglione “Vino – A Taste of Italy”, è emerso che il vino italiano ha bisogno di comunicare; ha bisogno di raccontare gli uomini che lo fanno e anche dei vip o personalità impegnate in altri settore, che hanno deciso di investire in vigne e cantine; ha bisogno di far conoscere la sua terra d’origine. I francesi sono tutt’ora insuperabili con il loro terroir: noi non siamo stati ancora capaci di trovare un corrispondente termine in italiano per sintetizzare la bellezza che questo mondo racchiude nel Paese più bello del Mondo. Con tutto ciò, l’interesse per il vino italiano è veramente notevole. Così quando il commissario unico di Expo, Giuseppe Sala, ha voluto salutare questo mondo, intervenendo al convegno, perché ad Expo ha dimostrato di avere una grande capacità di attrazione, Riccardo Cotarella, presidente del Comitato scientifico del Padiglione del Vino ha detto che “da 50 anni con Vinitaly promuoviamo la cultura e il commercio delle nostre produzioni vinicole nel mondo. Lo facciamo con equilibrio e dando voce a tutti i produttori, piccoli e grandi, prova ne sia che nel Padiglione del Vino, il primo nella storia dell’esposizione universale mai dedicato al mondo del vino, ad oggi abbiamo proposto 3.600 etichette di .aziende”. Concludendo con la battuta: “Con il vino l’Expo dura a vita. Non possiamo fermarci, se vogliamo continuare a produrre grandi vini”.
(Riccardo Cotarella e Luciano Ferraro)
Contestualmente alla celebrazione del vino italiano, il direttore generale di Vinitaly, Giovanni Mantovani, irrompe con i dati sui visitatori del padiglione: 1,5 milioni, con la certezza di superare i due milioni di visitatori. Dati che inorgogliscono Mantovani, perché vuol dire che c’è molto interesse attorno al vino. Solo che bisogna fare molto di più per dimostrare che siamo i primi al mondo in questo settore: D’Alema più modestamente e realisticamente ha detto che siamo secondi, e possiamo essere i primi se sappiamo stare insieme, ma una volta che ha voluto essere modesto, è stato contestato. Non fa niente: è importante che si parli del vino italiano, che lo si comunichi in modo appropriato, se è il caso copiare perché “copiare è bellissimo, è il più grande gesto per fare delle cose belle”, Farinetti dixit. E questo introduce anche un altro elemento necessario al vino italiano: invece di puntare su alcune eccellenze, deve pensare alla qualità diffusa. Un esempio sono Barolo e bollicine di Trento doc e Franciacorta, dove più dell’80 per cento della produzione è di grande qualità. E, quindi, non c’è bisogno di cercare l’etichetta di Tizio o di Caio, basta la denominazione a dare garanzie.
(I vini in degustazione)
E, così, in “due momenti, ben distinti ma complementari, abbiamo voluto raccontare la straordinaria versatilità del mondo del vino che da comparto prettamente agricolo, solo mezzo secolo fa, oggi è diventato un fenomeno sociale ed uno degli ambasciatori del saper fare italiano, che tanta risonanza internazionale regala al made in Italy ed ai suoi territori”, commenta Cotarella, dando appuntamento al 17 ottobre prossimo, ultimo convegno promosso dal Comitato scientifico del Padiglione del vino.