Agli homebrewer non è piaciuta la sistemazione scelta
(L'ingresso all'area dedicata ai birrifici artigianali nel Salone del Gusto)
di Andrea Camaschella, Torino
Qualche giorno fa si è chiusa a Torino la XII edizione del Salone del Gusto, la kermesse del cibo e di tutto ciò che ci ruota attorno immaginata, fortemente voluta, creata e organizzata da Slow Food per presentare le eccellenze mondiali sull’argomento del gusto.
In pratica un, anzi il mercato mondiale del buono, pulito e giusto. Il Salone si tiene negli anni pari a Torino, solitamente al Lingotto, come quest’anno, a parte la felicissima parentesi di due anni in cui si tenne “in libertà” in alcuni spazi aperti di Torino. Si parla di oltre 200.000 visitatori, provenienti, come gli espositori, da tutto il mondo. Il Salone, negli anni, è stato uno dei veicoli che hanno permesso di far conoscere il comparto delle birre artigianali italiane al mondo intero. Inizialmente i birrifici ebbero una piccola area all’interno del salone dove presentarsi e far conoscere le loro produzioni. Col crescere del numero delle aziende ma anche considerando il fatto che la birra artigianale oramai non aveva (e non ha) più necessità di essere presentata come una novità, i birrifici sono stati integrati nella logica della divisione per regioni con cui nel frattempo Slow Food aveva organizzato il Salone. Cosa che non piacque a molti birrifici, che preferivano, di nuovo, un’area dedicata. Slow Food ha accettato questa richiesta, cercando di ricreare quello che si era visto a Cheese (la più importante manifestazione sui formaggi, che Slow Food organizza, negli anni dispari, a Bra, in provincia di Cuneo): una zona con cucine di strada e birrifici dove i visitatori potessero rilassarsi mangiando e bevendo.
Qualcosa però quest’anno è andata storta: la Piazza della Birra, come dicevo poc’anzi voluta e chiesta da molti birrifici nelle edizioni passate, non è nella logica del Salone del Gusto, questo ancora prima di ragionare sul posizionamento della piazza stessa. Il Salone ha scelto e portato avanti con coraggio e determinazione una divisione regionale e, all’interno delle aree dedicate alle varie regioni, provinciale. La scelta di creare la piazza delle birre a mio parere doveva essere contrastata da Slow Food con forza maggiore, anche perché ora deve giustificare il fatto che i pochi birrifici posti all’interno dei padiglioni hanno lavorato tanto a discapito di una debacle di chi era nella Piazza o nelle zone circostanti. E’ pur vero che i torinesi non hanno risposto, nonostante dei biglietti di ingresso decisamente più abbordabili rispetto a 4 anni fa e l’introduzione di un biglietto di ingresso ridotto nel tardo pomeriggio, così da giustificare la chiusura alla mezzanotte dell’area destinata ai birrifici, mentre il resto del Salone chiudeva alle 21:30.
E’ vero anche che gli standard di sicurezza da raggiungere per organizzare un evento pubblico rappresentano un costo esorbitante, in soldi, e assorbono anche molte energie e tantissimo tempo.C’è anche da sottolineare che i birrifici presenti al Salone sono tanti, forse troppi: oltre 60 in questa edizione. Ma il vero problema lo possiamo analizzare passando a parlare della dislocazione a sé, in un’area praticamente nascosta, desolata, senza servizi, della Piazza della Birra, proprio non mi spiego come possa essere venuta in mente. Il Salone è un percorso, di gusti, di aromi, di categorie merceologiche, ma appunto un percorso, dove ognuno decide se e dove fermarsi, passando comunque in mezzo a ogni area. Così era 4 anni fa e pure 6 anni fa. Così non è stato quest’anno: la principale area destinata a birrifici e cucine da strada era avulsa dal passaggio e mi sono trovato davanti a persone che mi chiedevano dove bere una birra, a pochi passi dall’arco che delimitava il recinto in cui erano posti i birrifici.
(Alla Fiera di Rimini nel 2014 i birrifici furono posizionati dietro ad un telone nero)
Di giorno in quella piazza si cercava un angolo di ombra, sull’asfalto reso rovente dal sole e si gioiva dei pochissimi minuti durante i quali le nuvole coprivano il sole. I birrai non sapevano dove mettere i fusti, per preservarli dal caldo. Avesse piovuto sarebbe stato il dramma totale, visto che non era prevista alcuna copertura, tranne quella per la gente in coda agli stand delle cucine. Tra l’altro, mi raccontano alcuni dei birrai presenti nella Piazza, era stato detto loro (col senno di poi potrebbero avere capito così, segno però di una comunicazione un po’ fumosa) che i birrifici all’interno del Lingotto non avrebbero potuto vendere le loro birre, mentre molti in realtà le vendevano e hanno anche finito buona parte delle referenze. C’è però un altro punto che spiega molti malumori emersi nella Piazza delle Birre: Slow Food fatica a comprendere il disagio profondo dei birrifici artigianali riguardo la commistione tra industria e artigianato, quell’area grigia in cui l’industria si traveste da artigiano. Non parlo di qualità, parlo di mezzi: l’industria può fare il bello e il cattivo tempo, dedicato risorse che chi produce birre artigianali non ha e non avrà mai a disposizione. In questo momento storico la secca divisione tra birra artigianale e birra non artigianale è molto sentita dai birrifici e fondamentale per il mercato e i consumatori, decisamente confusi. E Slow Food sembra proprio non intercettare questo disagio né capire le regioni ma relegandolo a capriccio e difendendo la scelta di tenere gruppi industriali e permettendo a questi ultimi di fare proseliti all’interno del Salone. In questo modo però presta il fianco a teorie del complotto di vario genere.
Tornando a ragionare in generale, non è la prima volta che i birrifici artigianali vengono “ghettizzati”: capitò a Rimini Fiera nel 2014, quando furono nascosti dietro una parete nera, raggiungibili solo attraverso un pertugio presidiato da prestanti bodyguard, il tutto all’interno di una manifestazione legata al gelato. Fu il punto più basso, che portò però alla creazione di BeerAttraction, oggi la fiera di settore, per la birra artigianale (e non solo) più importante d’Italia. A volte un’ammissione di colpe può essere l’inizio di un dialogo e di un rilancio, ma da un’intervista rilasciata il 23 settembre alla Stampa di Torino, il segretario generale Daniele Buttignol si dichiarava soddisfatto del risultato, con qualcosa da cambiare sì, ma sostenendo di aver ricevuto solo commenti positivi: forse i suoi generali lo hanno scortato solo nei banchi “soddisfatti”? Credo e spero che sia solo una scelta comunicativa nei confronti dei media. Così come spero che questo momento apra davvero una discussione che riporti al rilancio dei birrifici all’interno del Salone. Che poi basterebbe anche poco, giusto far sì che il percorso tra un’area e l’altra fosse, com’era, obbligato, cosicché tutti debbano passare in mezzo a birrifici e cucine di strada.