Note a margine dal congresso di San Patrignano e quella voglia di ottimismo
“L’unica gioia al mondo è ricominciare. E’ bello vivere perché vivere è ricominciare. Sempre e ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, abitudine stupidità – si vorrebbe morire”.
Sono solo due righe estratte dal “diario” di Cesare Pavese “Il mestiere di vivere”. Ma spiegano e soddisfanno l’esigenza di capire il senso dei contenuti discussi e animati al 69° Congresso Assoenologi. Le ha lette Piergiorgio Cane della sezione del Piemonte dell’Assoenologi, nato anche lui a Santo Stefano Belbo. Le ha lette, per chiudere in bellezza il congresso, salendo sul palco della struttura della Comunità di San Patrignano che ospitava i lavori. E ha ricevuto, forse, l’applauso più lungo e commosso, riservato ai relatori. Anche lì, a San Patrignano, rincorrono l’unica gioia al mondo che è quella del cominciare nuovamente. Pure il vino e l’enologia abitano la metafora de ”la gioia del ricominciare”: il ciclo della natura che muore e rinasce; le allegrie e le allegorie del mito “dell’eterno ritorno”; della vita che si fa vite e la vite che si fa vino. San Patrignano fa leva sulla similitudine di questi valori affinché molti, ospiti di quella struttura, ritrovino la gioia del ricominciare. Facendo uscire molti sfortunati, dal tunnel che mai luce fa scorgere là in quel fondo sempre più cupo.
Ora che le esigenze della cronaca sono state soddisfatte ed esaurite, e sembra più facile far emergere il background di questa assise, scopriamo che la definizione più appropriata per definire questo congresso, potrebbe stare nel… “Le parole nuove del vino italiano”. Un congresso all’insegna dalla saggezza cinese: ”impara ad ascoltare le parole, non il rumore”. Vocaboli, termini e voci che abbiano un senso compiuto. Quella più pronunciata: cultura. Sembrerebbe banale sottolinearla se non l’avessero usata, più degli altri, per non dire esclusivamente, gli enologi e non i guru della comunicazione. Hanno parlato per ore intere, gli enologi, ma nessuno ha osato citare polifenoli, antociani, voltatile e fermentazioni controllate. D'altronde il tema del convegno spingeva a deviazioni intellettuali: “Raccontare il vino: storia territori persone e cultura”. Titolo lacunoso perché non si è potuto prevedere un capitolo inaspettato e protagonista: “raccontare l’ottimismo”. E come non pensare che la terra ospitante fosse la Romagna, la terra di Fellini, di Tonino Guerra, sì proprio quello là col suo tormentone: “L’ottimismo è il profumo della vita”? Comunque gli altri capitoli non titolati nel programma ha sviluppato concetti chiari e ben definite da chiare parole: Distintività lemma, forse, di nuovo conio, è posta dagli enologi all’apice di una piramide descrittiva che alla base raccoglieva, Pulizia, Biodiversità, Narrazione, Perfezione, Empatia, Progetto, Creatività, Fantasia e Sanpa, quest’ultima in onore a San Patrignano, un modello di realtà a cui il vino può attingere ulteriori ispirazioni.
Per sintetizzare questa globale sequenza di trattazioni ci vengono in soccorso alcuni interventi emblematici? Con Bruno Vespa che tra una testimonianza e l'altra ha voluto stilare un focus sull’antropologia enologica e misurare l’ottimismo territoriale. Marlisa Allegrini, la signora dell’Amarone, si è associata con un sì secco, Lucio Tasca, a quella domanda si è bloccato, ha avuto un momento di vuoto, poi con un “non lo so!” ha gelato la sala, e tutti hanno pensato a Sciascia e Bufalino. Ma a seguire per fortuna c’era Oscar Farinetti: il suo Eataly e un modello di imprenditoria italiano, ed è stato il suo intervento uno show, un tripudio di fiducia ed euforia (dicono di lui che se fosse al governo con un incarico al ministero dell’economia farebbe dell’Italia la terza forza mondiale). Un unico cruccio: “Noi non sappiamo raccontare il territorio – dice Farinetti – come i francesi. Se loro hanno un castello nei pressi di un vigneto piazzano decine di cartelli per incitare una visita. Anch’io avrei un bel castello da far visitare. Quello di Moncalieri. Ma nei nove chilometri da cui dista da Torino vi sorgo un solo cartello: “Controllo elettronico della velocità”.
Altro emblematico intervento lo ha firmato Mario Moretti Polegato portando la sua storia personale e facendola assurgere a modello di Creatività e Fantasia imprenditoriale. Laurea in enologia e figlio di viticoltori titolari di un azienda storica del Veneto, Villa Sandi, Moretti Polegato è stato il primo, dopo Pasteur, a far respirare il vino. Solo un inizio. Sviluppando poi questa idea in altre discipline sino ad uscire (dal vino) e riuscire a far respirare anche una…scarpa. L’ha chiamata “Geox”, come tutti conoscono, ne ha depositato il brevetto (la suola che respira, respinge l’acqua…) e oggi questo brand si è attestato al primo posto in Italia, e al secondo nel mondo, per numero di capi (che respirano) commercializzati nel comparto del life style – casual. Anche il vino potrà imparare molto da lui. E dalla sua storia. Altro paradigma della gioia del ricominciare.
Stefano Gurrera