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L'evento

Bea (ViniVeri): vogliamo etichette trasparenti. E vi spieghiamo perché

04 Febbraio 2015
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(Giampiero Bea, di ViniVeri)

Giampiero Bea, presidente di ViniVeri, ha la stessa flemma e calma, quando parla, dei suoi vini. A cui aggiunge solo solfiti (giusto un pizzichino) ed attende che la natura faccia il suo corso.

Bea presenta l’edizione numero 12 di ViniVeri, l’ottava consecutiva che si terrà a Cerea, un comune ad una trentina di chilometri di distanza da Verona, ben collegato da superstrade e ferrovie.
La manifestazione, quest’anno, non si sovrapporrà del tutto al Vinitaly, ma sarà una sorta di cerimonia di passaggio, visto che l’ultimo giorno di ViniVeri, il 22 marzo (la rassegna inizia il 20 marzo), coinciderà con il primo giorno del Vinitaly.

“Non siamo dei parassiti – dice – anzi. La scelta quest’anno di creare un evento quasi parallelo è dettata dal fatto che vogliamo dare la possibilità ai giornalisti ed agli operatori che vengono da lontano, di avvicinarsi al nostro mondo”.
120 aziende dovrebbero prendere parte a ViniVeri: il 70/75 per cento sarà italiana, la rimanente straniera.

Mancherà un anello di congiunzione vero e proprio con i francesi, perché quest’anno Nicolas Joly sarà in Australia per vari impegni.
“Non per questo – dice – non si parlerà di “renaissance des appellations”, l’associazione creata da Joly nel 2001 che raggruppa quasi 200 produttori di tutto il mondo”.

Le “Doc” francesi, infatti, saranno al centro di ViniVeri, perché, come spiega Bea “bisogna mantenere l’identità dei luoghi, dei sapori, dei terroir, una vera e propria rinascita delle denominazioni italiane”.
Ma l’argomento principale di ViniVeri, saranno l’etichette trasparenti: “Un argomento che va affrontato con insistenza – spiega Bea -. Ne parlammo due anni fa, ma non abbiamo avuto realmente una considerazione da parte degli addetti ai lavori”.

Eppure l’argomento appare scottante. Perché, come spiega Bea, se i produttori dovessero inserire in etichetta tutti gli 'ingredienti' utilizzati, “occorrerebbe un depliant, oppure un’etichetta che fasci per intero la bottiglia”.
Sono più di 200, infatti, gli elementi che compongono un vino.

Il concetto di biologico e biodinamico, per Bea, sarebbe facilmente bypassato con i vini naturali: “Molto semplice – spiega – raccogli l’uva, la pesti, aggiungi quel po’ di solfiti necessari durante l'imbottigliamento ed attendi”.

Oggi, invece, i produttori hanno fretta, corrono per il mercato. “Ma la gente ha il diritto di conoscere quello che ingerisce e che va a finire dentro il suo corpo. Ed il vino rimane uno dei pochi elementi che non ha l’obbligo dell’elenco degli ingredienti sull’etichetta”.

Eppure, tra gli elementi utilizzati, ci sono degli allergeni: il consumatore dovrebbe essere consapevole di quello che sta bevendo.
“I nostri vini sono testimonianza e differenza delle stagioni – spiega Bea -. Ogni anno possono modificarsi nei colori e nei sapori. Eppure siamo sempre chiamati a mettere meno informazioni possibili”.

Per Bea, dunque, l’etichetta trasparente è fondamentale per scoperchiare qualche pentola bollente: “Nella nostra etichetta, noi scriveremmo solo ‘uva e solfiti’. Chi si vanta di non usarli, non dice però quello che in realtà ci mette nel vino”.

Poi chiusura con una proposta: “L’etichetta deve avere informazioni chiare a vantaggio dei consumatori – dice -. Renderla obbligatoria? Credo che la cosa più grande sia la libertà. Però, un buon punto si partenza sarebbe la possibilità di poterlo scrivere. Poi se diventasse obbligatorio…”

G.V.