di Andrea Camaschella
Sono un po’ di anni che noto quanto stia maturando il mercato della birra artigianale in Italia. Merito di un lavoro collettivo – di pochi a dire il vero, ma in aumento – che parte dai birrifici e continua nei locali, aiutati da associazioni e corsi vari che stanno portando la curiosità delle persone a un livello più alto e consapevole.
Un tempo ci si basava prevalentemente sugli eventi, che sono sicuramente serviti a creare una base di appassionati che oggi sono, in gran parte, attori nei vari livelli. In quegli eventi però la parte culturale passava in secondo piano rispetto all’improvvisazione dei birrai alle spine, con mezzi di fortuna, come spillatori da banco di dubbia fattura, col risultato di sembrare più un’armata brancaleone che seri professionisti, quali per altro erano nei rispettivi birrifici. Fatto sta che oggi i birrifici che propongono qualità costante riescono a tenere le loro quote di mercato e magari aumentarle, mentre chi è altalenante fa più fatica a trovare uno spazio sicuro sul mercato. Si accetta che una birra sia leggermente diversa da un lotto all’altro a patto che sia riconducibile all’etichetta. Si accetta che alcune birre debbano essere consumate in fretta perché, per loro intrinseca natura, perdono in breve tempo la loro qualità organolettica, ma non si accetta che una birra si ossidi e cambi bruscamente nel volgere di pochi giorni. Il lavoro in birrificio, costante, con protocolli di lavorazione consolidati, il controllo di qualità, lo studio e la preparazione dei birrai, vengono oggi premiati. Una parte importante del mercato artigianale si accorge se vengono meno questi requisiti, se le bottiglie sono un punto debole, se le birre non sono maturate correttamente o se il lavoro in birrificio fa “aria” da tutte le parti mandando sul mercato birre ossidate.
Anche i premi che i birrifici italiani ritirano con grande frequenza nei più importanti concorsi europei e mondiali ne sono una prova: una giuria internazionale di spessore, chiamata a giudicare birre da tutto il mondo, non fa passare una birra mediocre e una birra ossidata o troppo giovane passano subito in secondo piano, dunque chi va a premio è di alto, altissimo livello. Poi ovviamente anche un piccolo colpo di fortuna aiuta (la birra è in forma smagliante proprio quel giorno e così via), ma intanto bisogna avere le carte in regola. E come spesso accade è Birraio dell’Anno a farmi fare queste riflessioni. Al teatro TuscanyHall (ex ObiHall) di Firenze, da venerdì 18 a domenica 20 gennaio 2019 si terrà la manifestazione legata alla premiazione – che avverrà domenica pomeriggio – del miglior birraio artigianale italiano per l’anno 2018. Il premio compie 10 anni, l’evento è più recente ed è alla quarta edizione, i protagonisti saranno i 20 birrai pro e i 5 esordienti (che sono pro da meno di due anni) votati da una giuria selezionata da Fermento Birra, e le loro birre. Novità di quest’anno la presenza di birrai che non rientrano nei 20, ma che a livello regionale (salvo raggruppamenti per regioni piccole) sono risultati ben votati.
Parterre de roi che conferma la mia tesi: i birrifici, o meglio i birrai scelti rappresentano la ricerca della qualità e della costanza, più che il fattore “wow” cioè quei birrifici che continuano a proporre birre nuove, che stupiscono, ma che alla lunga non conquistano. Birre bevibili e che si bevono con piacere, curate, equilibrate ecco quello che viene in mente leggendo la lista dei presenti al Tuscany Hall. Birre e birrai che sarà possibile confrontare in diretta, grazie a questo evento, in attesa della proclamazione del decimo birraio dell’anno. Come sempre la lotta sarà serrata, fino all’ultimo voto, e uno per l’altro, chi vincerà, il premio l’avrà meritato. E questo sottolinea ulteriormente la qualità dell’evento che è davvero imperdibile: per semplici curiosi, per addetti del settori, per appassionati della prima ora o più recenti, per esperti e non è un evento da non mancare assolutamente.