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L'azienda

Volpe Pasini acquisisce Mario Schiopetto, Rotolo: “Insieme punteremo sempre e di più sulla qualità”

18 Febbraio 2014
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L'imprenditore originario di Tropea dà poi la ricetta per uscire dalla crisi


Volpe Pasini e Azienda Agricola Mario Schiopetto

Capriva. Terra eletta.

Il punto dove tutto ebbe inizio, da cui è nata l’enologia friuliana, un pezzo di storia dell’Italia del vino. Culla dei bianchi tra i migliori del Bel Paese. Quel fazzoletto del Collio la cui fama è legata a Mario Schiopetto, il viticoltore che anzitempo volle scommettere  tutto per portare in bottiglia il terroir, erano gli anni ’60. Oggi, l’azienda che incarna quella visione, mandata avanti dai figli Mariangela, Giorgio e Carlo, è diventato anche teatro di un virtuoso sodalizio imprenditoriale che vede protagonista un’altra icona del firmamento vitivinicolo friulano. Emilio Rotolo, imprenditore del vino a capo di Volpe Pasini, che nel sangue porta però un concentrato di Sud, di Calabria e di Sicilia, ha acquisito la tenuta dei Schiopetto. E’ stato siglato l’accordo quadro e presidente onorario rimarrà Mariangela. Un passo importante ma anche oneroso in un periodo non certo felice per l'economia italiana. “Per me un motivo di grande orgoglio – ha commentato Rotolo -. Nei figli di Mario ho trovato persone eccellenti, che hanno seguito le orme del padre e sarà un onore fare strada insieme a loro. Ci prepareremo alle sfide future che partono tutte dal fare il vino sempre più buono, puntando sull’eccellenza, facendo quello che hanno fatto i padri fondatori come Mario. Per me quest’uomo è un monumento, uno dei sei nomi che hanno scritto la storia del vino moderno in Italia”.


Veduta dei vigneti Volpe Pasini


Veduta vigneti della tenuta Schiopetto

Le due aziende proseguiranno autonomamente, ciascuna con la propria mission che mira a valorizzare i rispettivi territori di appartenenza: i Colli Orientali e il Collio. Concentrate entrambe a colloquiare con il resto del mondo e a puntare anche sulla domanda interna.


Mariangela, Giorgio e Carlo Schiopetto


Emilio Rotolo insieme al figlio Francesco

E proprio in merito alla stato non certo vivace in cui versa il mercato italiano Rotolo, che oltre ad essere imprenditore del vino è anche medico, dà la sua ricetta. “L’Italia vive una profonda crisi, ricordiamoci che siamo nel sesto anno consecutivo. La crisi, come le malattia, e non è causata soltanto da un agente patogeno. La ricetta per superarla, però, è semplice. E in questo caso non c’è bisogno di un rimedio fantascientifico, basta quello della nonna, il buon latte caldo con miele o cognac. La terapia è una sola: la qualità. Però a trecentosessanta gradi. Questa non deve essere solo prerogativa del vino ma di tutta la filiera, dal marketing, alla logistica alla commercializzazione.  Non basta fare solo cose buone – e aggiunge -. Sono finiti i tempi in cui si vendeva qualsiasi bottiglia di vino con venti mila lire. Oggi bisogna vendere con un buon rapporto qualità prezzo e fare cultura d’impresa, che non è una parolaccia! Così si può superare la crisi che comunque è positiva perché prepara alle innovazioni”. Anche se poi di traverso si mette lo Stato, come denuncia Rotolo. “Ci affligge una burocrazia senza limiti e dobbiamo combatterla ogni giorno. In un certo senso, noi imprenditori ci abbiamo fatto il callo, abbiamo fatto gli anticorpi contro lo Stato, non è bello dire una cosa del genere ma è così. Non è il fratello o l’amico, lo Stato ci viene purtroppo patrigno”.


Villa Rosa, Volpe Pasini

L'azienda di Togliano di Torreano il mercato interno vuole continuare a coltivarlo, non lo abbandona, e di sicuro non mira alla nuova eldorado con la Grande Muraglia. “La Cina – ha voluto precisare il produttore  è un mercato ancora acerbo, non adatto a piccole aziende come le nostre. Non è il nostro sbocco di riferimento”. Dalla Russia al Giappone, dagli Usa alla Germania, dal Canada al Brasile: questo, invece, lo scenario globale di riferimento verso cui si muove Volpe Pasini che si completa con altri mercati come Hong Kong, ed emergenti come Ucraina e Kazakistan. 
 
L'imprenditore originario di Tropea guarda, comunque, con ottimismo al futuro e soprattutto a quello del Friuli. Non contempla un ritorno alle origini. “La Calabria è il fanalino di coda di qualsiasi indicatore economico, l’hanno fatta diventare così, è una terra abbandonata – dice con amarezza –. E dovrebbe essere il vanto d’Italia. Il vino nella nostra Penisola arriva lì.  La Calabria ha dato il nome all’Italia stessa per ben tre volte! Custodisce quattrocento vitigni autoctoni. Ha il patrimonio ampelografico più grande del mondo. E ha un orgoglio agricolo. Ricordo ancora, quando nel ’69, avevo undici anni, il popolo reggino scese in strada in rivolta contro Roma, per difendere le sorti della piana di Gioia Tauro dove si voleva costruire il quinto centro siderurgico d’Italia, dopo quello di Taranto, per affermare una propria volontà politica e combattere per la propria terra. Amo la mia regione ma è quella dove lo Stato continua ad essere più assente, purtroppo”. 

Manuela Laiacona