di Titti Casiello
Che ti immagini di Siracusa? La bellezza che sventola sul Duomo di Ortigia? il fascino intriso dei suoi vicoli? Gli arancini e le scacce farcite? La pietra calda che riflette lo stile liberty delle antiche dimore nobiliari? Siracusa è la città di una Grecia antica, che ti regala quella voglia di ritornarci prima ancora di andare via.
Difficile, però, che in questa voglia ci rientri pure quella di bere un buon calice di Moscato secco. Incasellato – per cultura e tradizione – a fine pasto, in questa terra (e non solo) il Moscato, pare, infatti, aver avuto sempre un unico volto, dagli aggettivi onnipresenti: ambrato, fruttato, stucchevole o morbido. Eppure c’è chi si è “divertito” a sovvertire gli schemi, alla ricerca di nuovi aggettivi. Lei è Carmela Pupillo, titolare dell’omonima cantina che in quel di Siracusa, scardinando i luoghi comuni, ha reciso le radici che legavano questo vitigno ad un volto immutabile, lasciando che la medaglia mostrasse tutte le sue facce. Perché, decisamente, il Moscato, non è (o non è soltanto) il vino per i dolci, ma anzi, depauperato da quegli odori quasi caricaturali nell’olfatto, si mostra in tutt’altra veste. Sa infatti di vero, quello che è, con molta probabilità, il primo vino che è stato prodotto nella storia vitivinicola dell’Italia, portato qui, dalla Tracia, dal re greco Pollio quando, nel IV secolo a.C, fondò Siracusa.
Se non fosse stato per Pupillo (e pochi altri in zona), però, l’epilogo sarebbe stato: “il Moscato è una specie in via di estinzione” quando nel secondo dopoguerra, con il boom petrolchimico che investì il litorale sud- est della Sicilia, si assistette ad un abbandono quasi repentino delle campagne. Ma loro hanno sempre creduto nella loro terra, e se a Nino, il padre di Carmela, va il merito di aver dato una nuova spinta di vitalità alla Doc Siracusa, a Carmela, quarta generazione, il merito, invece, è di aver mostrato tutte le sfaccettature di questa piccola cenerentola tra le Doc italiane. Con una laurea in letteratura in tasca, ma la necessità, quasi incessante, non solo di salvare il Moscato, ma anche di sottrarlo dalla vulgata comune che lo voleva solo nella sua versione passito, Carmela ha così colto l’esigenza di riempirlo anche nelle sue sfumature in versione secco e spumante, in una proporzione fresca e dinamica. Insomma in quegli aggettivi distanti anni luce dall’idea del Moscato.
Ed è così che Siracusa, allora, si lascia ricordare anche per quel volto enoico nascosto, che poco distante dalle sue bellezze artistiche, si staglia a ridosso della città. E’ nell’antico Feudo della Targia che si crea quello che gli inglesi definirebbero, infatti, “the sense of place”. Il Feudo che nel 1200, era popolato da una piccola comunità rurale che viveva tutta intorno ai cortili antistanti al fascinoso castello voluto da Federico II di Svevia (conosciuto anticamente come Solacium della Targia), è oggi la sede delle Cantine Pupillo nonché luogo perfetto per baccanali e ricevimenti privati. E’ un luogo di silenzio che si lascia attraversare con meraviglia mentre, passeggiando lungo le cinta murarie, si incappa in una piccola porticina di pietra che, quasi a mo’ di portale del tempo, si concede in un giardino botanico che del paradiso pare la sua estensione terrena dove tra le varie forme di verde e frequenze delle più variegate specie di piante, ad affascinare è soprattutto il ficus macrophyllas subspecie columnaris, (portato dal bisnonno di Carmela, dall’Orto Botanico di Palermo), in una chioma foltissima di foglie, di eleganti grovigli di rami e di liane pendenti.
E’ da qui che poi si stagliano le lunghe distese di filari di Moscato di Siracusa- 20 ettari posti quasi a baluardo, a difesa della tenuta che creano un microcosmo di equilibrio e natura. Perché se in un’eccezione generale i terreni di Siracusa sono comunemente calcarei, in questo lembo di terra è, invece, la pietra lavica a dominare, conferendo quella vena vulcanica (alias freschezza e mineralità), che nell’immaginario collettivo pare distante anni luce da un sorso di Moscato, e che invece, rappresentano null’altro che l’altra faccia, quella nascosta, del Moscato Bianco di Siracusa. Ecco la nostra degustazione:
Podere 27 – Siracusa Doc
Se il pensiero vola alla confezione di un Moscato spumantizzato e al suo correlato panettone, vi prego bloccate il flusso della mente. La sorpresa qui è in un metodo classico brut nature che dopo 48 mesi sui lieviti regala una beva energica dove la definizione più eloquente è un idromassaggio con bollicine, grazie a un sorso che, in una pacatezza iniziale, mostra un allungo tonico e dinamico terminando in una chiosa piacevolmente sapida.
Cyane 2021 – Siracusa Doc
Cyane vuole ricordare quel senso di sopravvivenza del Moscato, in quel pezzo di mitologia greca dove la ninfa Cyane nel tentativo di difendere la sua amica Persefone, finì per essere trasformata in una sorgente dal Dio dei morti Ade. E questa trasformazione la si ritrova in un calice che profuma di pesca bianca e rosa canina, mentre tutte le sfumature del limone (dalle sue foglie alla sua polpa), regalano un sorso saporito e fresco di grande soddisfazione nel finale.
Damarete 2019– Siracusa Doc
Materia e leggerezza viaggiano all’unisono dopo trenta giorni di macerazione sulle bucce, in un colore dorato dai riflessi cangianti dove le sensazioni olfattive di carrube e maracuja accompagnano la densità della materia in un vortice di sapidità vibrante.
Pollio 2020- Siracusa Doc
Garoglio nel suo manuale didattico – croce e delizia per gli studenti di Enologia – citando una lettera di Saverio Landolina Nava, patrizio siracusano, dava la ricetta “perfetta” del Moscato dolce di Siracusa con: “uve che restano al sole per dieci giorni e Plinio consiglia che si lascino seccare per sette giorni, tenendole sollevate sette piedi da terra”. Ora, pur non sapendo se in questo démi-sec i passaggi siano stati seguiti pedissequamente, il calice tutto mostra fuorché la stucchevolezza dei suoi zuccheri. Il rosmarino, la maggiorana e le note di cipria fanno da apri pista ad un sorso marino, invincibile e lunghissimo.
Solacium 2021– Siracusa Doc
Albicocca, marzapane, salvia, pesca sciroppata e così in un elenco a più pagine tanta è la progressione olfattiva. In una bocca tutta compatta, che viaggia su una cadenza ritmica dove la chiave di sol è il sale. E verrebbe da dire che se il Solacium era il giardino delle delizie di Federico II, il Solacium di Cantine Pupillo, pensato e voluto dal suo fondatore insieme con Giacomo Tachis, è l’eden del Moscato.