Trascorrerà quasi mezzo millennio prima che la famiglia Brandolini, capitani di ventura al servizio della Serenissima, svelassero la loro passione anche per la vite nelle proprietà che hanno a Vistorta, piccolo borgo nella campagna friulana ai confini con il Veneto. L’uomo della svolta sarà Guido Brandolini, nel 1872, che alle colture cerealicole e alla bachicoltura tipiche del posto, affianca la vigna. Dopo il flagello della fillossera, Guido concentra la produzione sul vitigno merlot. Già da allora i vini si fanno conoscere e si affermano sui mercati locali per il loro carattere. Dopo circa un secolo, la tenuta viene restaurata e portata al suo splendore attuale – siamo negli anni ’50 e ‘60 – da Brando Brandolini e dalla moglie Cristiana, con l’intervento dello scenografo Renzo Mongiardino sulla villa e del famoso architetto paesaggista Russell Page per il giardino all’inglese, Vistorta diventa anche luogo di contemplazione e di connessione con i ritmi della natura. Poi arriva il figlio Brandino Brandolini dopo la laurea in agraria all’Università Texas A&M e le prime esperienze a Bordeaux presso Château Greysac, dove affianca il giovane enologo Philippe Dambrine. Ottima scuola per sognare un grande vino rosso: la composizione argillosa calcarea dei terreni di Vistorta, adatta alla coltivazione di varietà a bacca rossa e in particolare al merlot, e la similarità pedoclimatica con il Pommerol e il grande Petrus, confermano la scelta già presa a fine ‘800 da Guido.
Nel 1979, Brandino inizia a vinificare con la collaborazione di Georges Pauli, grande enologo dei Domaine Cordier, e del giovane Alec Ongaro, selezionando le migliori uve nei 40 ettari di vigna (la tenuta si estende su 220 ettari) contornati da boschetti e siepi che contribuiscono a tutelare la biodiversità e a mitigare le temperature estive creando corridoi di aria fresca. Così, dal 1989, il Merlot Vistorta è il vino che svela l’azienda Vistorta al mondo, raccontano sia Brandino Brandolini che Alessandro Torcoli, direttore di Civiltà del Bere, nel corso della degustazione organizzata a Milano presso L’Enoluogo di Civiltà del Bere, appunto, e che hanno guidato la verticale davvero interessante. I primi tempi alle uve merlot venivano aggiunte anche quelle di altri vitigni internazionali. Con il nuovo millennio, invece, la decisione di avere solo merlot vinificato in purezza ma separatamente in diverse parcelle, visto che il vigneto è suddiviso in 18 parcelle, con il vino che affina 18 mesi in barrique di rovere francese (40% legno nuovo).