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L'azienda

La muffuletta approda a New Orleans

08 Luglio 2013
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da New York Paola Camillo

L'odore al sesamo di una muffuletta si mescola a quello acre aromatico di un gumbo cajun, la zuppa di pesce e spezie.

È possibile qui, a New Orleans, dove il panino orgogliosamente siciliano figura non solo tra le specialità locali ma anche tra i migliori sandwich d'America.

Le vetrine del Central Grocery, una storico negozio di alimentari italiano nel French Quarter, espongono pile di muffulette incartate in bianca velina, pronte per l'asporto; all'interno del locale vengono vendute a quarti o a mezzi per diciassette dollari l'una, servite fredde e con una farcia di salame, mortadella, prosciutto cotto, provolone e olive 'schiacciate'.

E’ facile sentirsi in una vecchia drogheria siciliana, con la sola differenza che pochi metri scorre il Mississippi.
Si può trovare la Sicilia dappertutto, è vero; la Sicilia ha un mix appeal innegabile. Ma stavolta non è tutto merito dell'isola. New Orleans è la Big Easy, la città che tollera mille culture, che miscela pezzi d'Europa, Caraibi e Africa, facendo inevitabilmente sua anche un pizzico di Sicilia.

Ecco allora che la muffuletta è diventato un mito tra i miti americani, la si trova anche nella classifica dei migliori panini a stelle e strisce stilata dall'emittente Pbs in un noto documentario 'Sandwich that you Will like.'
“Vendiamo la muffuletta dagli anni 30' -racconta fiero Franco Tusa, proprietario del Central Grocery e discendente di una delle tante famiglie del trapanese che emigrarono a New Orleans alla fine dell'800- I manovali siciliani che lavoravano al porto usavano mangiare separatamente il pane portato da casa, i salumi, il formaggio e le olive, seduti sulle botti o a terra all'aperto. Mio nonno pensò allora di vendere tutto insieme, un panino. E da allora ha sempre funzionato”.

Non sembra un caso che la tipica focaccia siciliana abbia trovato nella capitale della Louisiana una seconda patria: New Orleans è misteriosa, umida, vischiosa, povera oggi e felicissima un tempo così come Palermo. Lungo i viali alberati si susseguono eleganti ville di legno con patii ricamati da decorazioni in ferro battuto e avvolti da rampicanti, fiori, profumi, suggestioni che richiamano alla mente la Palermo balneare della Belle Epoque.

A  New Orleans, come in nessun altra città d'America, esiste un legame viscerale con il cibo; lo si condivide con gli amici, lunghe ore attorno alla tavola, gustando gamberetti, aragoste, fagioli e riso, aromatizzate in intingoli speziati. Nonostante ciò, un anno dopo Katrina, il magazine GQ pubblicò un pesante articolo del critico gastronomico Alan Richman  che bollava New Orleans come una città indolente, corrotta e narcisista, ripiegata su una cucina monotona codificata come creola, ma della quale metteva addirittura in dubbio l'esistenza.

Un'offesa per i New Orleanians che si sono presi la loro rivincita a otto anni dall'uragano: pur rimanendo una delle città più pericolose d'America, New Orleans ha migliorato il suo sistema di trasporti, l'istruzione e la pulizia, e la recente nascita di un'industria del cinema sta offrendo più posti di lavoro. E la sua cucina rappresenta, sempre per gli americani, l'ultima frontiera del piacere gastronomico nel paese.
Avventurarsi alla scoperta della cucina creola e di quella cajun -una legata alla prima ondata di immigrazione francese e l'altra a quella dei canadesi francofoni che migrarono nel sud west della Lousiana – è un viaggio nel viaggio.

Il gumbo è uno stufato di pesce e frutti di mare (granchi, vongole, gamberetti, aragoste) condito da una salsa addensante a base di un fiore tropicale, l’okra, oppure dalle foglie essiccate e polverizzate dell'albero del Sassafran. Uno dei migliori gumbo della città lo serve lo chef Donald Link da Herbsaint, un ristorante a pochi minuti dal French Quarter.

Al Bon Ton Cafè si può invece provare l’Etouffee, la zuppa ai gamberetti di acqua dolce –un incrocio tra scampi e aragostine- servita su letto di riso e condita da una salsa a base di farina, maizena e burro, e spezie come paprica, zenzero, pepe, timo, peperoncino. Ce n’è anche per chi non è appassionato di pesce: Cochon, uno ristoranti più in di New Orleans,  è famoso per il suo  Cochon de Lait, un maialino brasato in timo, alloro e aglio e servito su un letto di rape e cavolo cappuccio in agrodolce e ricoperto da pesce sott'aceto.

E alla fine, dopo aver  fatto ordine tra i sapori ed esserseli goduti fino in fondo, concludere (o ripartire) con un buon Sazerac, il più antico cocktail d'America, creato proprio a New Orleans con un  blend di rye whiskey, assenzio, angostura, Peychaud bitter ai frutti rossi e scorza di limone.

Il vero Sazerac si gusta al Roosevelt Hotel, in un bar Art Decò di sapore coloniale, tutto legno laccato, specchi e murales. Ma questo è solo l’inizio di un’altra storia: la notte di New Orleans. Un po’ Caraibi, un po’ Sicilia.