di Fosca Tortorelli
Da mezzo ettaro di terreno lasciato in eredità dal nonno, i due giovani fratelli, Diego e Davide Narcisi, dopo due anni, hanno visto concretizzarsi il loro progetto.
Così nasce nel 2021 “La Clarice Orto Sinergico”. Una vera e propria missione che vuole promuovere l’agricoltura attraverso la creazione di un orto sinergico in cui poter coltivare prodotti al 100% naturali. Ma di cosa si tratta? Tanta passione e determinazione sono state le basi per intraprendere questo percorso di valorizzazione del territorio in cui questi due giovani ragazzi sono nati. Una laurea in lingue per Diego, in Agraria per Davide, entrambi ex musicisti di un vecchio gruppo rock, dopo aver vissuto a Milano, Roma e in altri ambienti grazie al loro progetto musicale, il richiamo alle origini. Quel mezzo ettaro del nonno a Cannara – Assisi (Pg), dove prima trovava posto una vigna, ha dato il via alla loro nuova scommessa di vita. I due fratelli hanno iniziato così a praticare la permacultura, tecnica di coltivazione sostenibile che imita il più possibile gli ecosistemi naturali per ridurre il lavoro umano e favorire la salute delle piante attraverso le relazioni benefiche tra gli ortaggi, gli alberi, i fiori, gli insetti e il suolo.
Cosa si intende per Orto Sinergico?
“La sua definizione è insita nel nome, con orto sinergico infatti si intende questo nuovo modo di strutturare l’orto che fa riferimento a chi struttura appunto l’orto stesso, tenendo conto della sinergia che si crea tra le piante. In natura tutto ha sempre funzionato alla perfezione senza la presenza dell’uomo, semplicemente assecondando ciò che naturalmente accade. Ci sono diversi studi scientifici in merito che fanno riferimento alla permacultura e vanno a studiare le interconnessioni che ci sono tra le piante. Si parla delle consociazioni, così dette in termine tecnico, ovvero vicinanze di famiglie di piante specifiche tali da riuscire a costruire anche in piccole porzioni di terra, una forte biodiversità. Piantare specie differenti è il segreto, per far crescere queste piantine in modo organico e salutare, senza ausilio di sistemici. Vegetali e ortaggi che, sistemati in una stessa porzione di suolo, si aiutano a vicenda grazie alle loro caratteristiche intrinseche. Accanto agli ortaggi varie specie fiorite avranno la funzione di attirare gli impollinatori e/o di respingere gli insetti dannosi”.
Quali sono i vantaggi di questo tipo di agricoltura?
“Questo tipo di agricoltura non ammette sistemici, non ci sono scarti, è un sistema chiuso in cui ogni elemento diventa funzionale per migliorare il decorso naturale che avviene nel campo. Elementi di un percorso vitale. Ad esempio, se pensiamo all’agricoltura classica, ad agosto/settembre si va a lavorare la terra con il trattore, in un certo senso “bruciandola”, per poi andare a piantare, quando sarà il momento specifico – ossia verso Marzo/Aprile – la coltura principale in un sistema isolato e a filare. Questo comporta una sorta di ”denaturalizzazione” della pianta, il lavoro dell’uomo ne devia il suo “naturale” percorso e invece di aiutarla, il suo intervento è funzionale a una maggiore e orientata produzione. Con la permacultura invece si massimizza la qualità e non la quantità. Un valido esempio è quello del pomodoro, si tratta di una pianta che nell’agricoltura classica, riceve alcuni trattamenti per aiutarla a produrre i suoi frutti. Nello specifico questi trattamenti sono due: la rimozione delle cosiddette “femminielle”, ovvero delle ramificazioni supplementari o secondarie, in modo da produrre frutti più grandi di come naturalmente potrebbero essere. La seconda riguarda l’estirpamento dell’erbaccia adiacente alla pianta del pomodoro. Secondo il nostro metodo, il pomodoro sì, produce delle “femminielle” naturalmente, che sì, assorbono parte delle energie della pianta che inevitabilmente produrrà frutti di dimensioni più ridotte, ma è da specificare che il pomodoro (frutto), nonostante ami le temperature calde, non ama l’esposizione diretta ai raggi del sole, ed è per questo che, geneticamente, la pianta si difende dall’esposizione diretta producendo un ammasso di ramificazioni che ingloberanno il frutto fornendo un’ombreggiatura costante e naturale, così che la fruttificazione possa continuare con una crescita lenta e organica di un pomodoro, che sarà più piccolo, ma esprimerà una bontà impareggiabile. I vantaggi di questo metodo sono proprio la semplicità di includere persone e la sua facilità di attuazione. Un modo totalmente non invasivo nei confronti nella Terra, che coinvolge le persone in una maggiore attenzione nei confronti dell’ambiente. Sicuramente il prodotto che si coltiva non sarà mai perfetto, ma sarà un prodotto esplosivo dal punto di vista del sapore”.
Siete riusciti a farvi strada anche nella ristorazione, secondo voi quale è stata la leva o meglio l’esigenza degli chef?
“Oggi sicuramente nel campo della ristorazione non c’è ancora una vera cultura di interazione con il piccolo produttore, non c’è ancora questa microeconomia, e la grande distribuzione è ancora il canale con cui la ristorazione si interfaccia. Ovviamente non voglio generalizzare, ma sono pochi quelli che si confrontano in modo concreto con il piccolo agricoltore. Anche evidenziare il fatto che chi coltiva la terra possa comunicare, non era semplice da trovare; chi ha iniziato a lavorare con noi ha visto anche un percorso di maggiore comunicazione. Inoltre l’esigenza era di due nature diverse, da una parte quello della ricerca di un prodotto di prossimità buono e capace di legarsi al luogo in cui ci si trova, collegando il ristorante al prodotto etico; dall’altro si è resa sempre più importante l’esigenza di avere un rapporto umano dietro il prodotto. In un ristorante attento al territorio è necessario anche trovare un legame umano e vero con il proprio fornitore, qualcuno con cui compartecipare instaurando appunto questa interazione. Questo almeno è quello che noi vediamo qui in Umbria”.
Quanti hanno realmente compreso la vostra “impresa”?
“Inizialmente abbiamo sicuramente sofferto perché sono pochi gli orti che fanno questo tipo di lavoro. Noi avevamo le idee chiare sin dall’inizio, non è stato facile far capire il nostro progetto. Abbiamo iniziato a ragionare su questo recupero della terra, creando però la nostra identità. Al momento abbiamo nove ristoranti in Umbria, che abbiamo scelto e che ci hanno permesso di lavorare anche in modo attento alla stagionalità, perché elastici e capaci di comprendere la nostra filosofia di lavoro. Noi per definizione siamo sostenibili, il fatto di non lavorare con sistemici ci ha permesso e ci permette di imparare a capire e a risolvere, seppur in modo più faticoso e lento, i problemi che sorgono in campo”.
Progetti futuri?
I risultati che stiamo raggiungendo stanno portando da noi tanti professionisti che ci danno fiducia; vogliamo ampliare la produzione nel senso di allargare la “famiglia”. Nella prossima estate inizierà questo nostro progetto con Giampiero Bea dell’Azienda Paolo Bea, sarà il “Progetto Orto dei Ristoranti”, una sorta di orto personalizzato/privato con i ristoratori con cui collaboriamo. Un altro progetto su cui stiamo già lavorando è la ricerca e valorizzazione delle erbe spontanee del nostro territorio; stiamo letteralmente scrivendo il nostro erbaio, selezionando – con una opportuna competenza e strumentazione – piante ovviamente non tossiche, da usare in cucina. La missione de La Clarice è anche quella di recuperare quello che si era perso in funzione del mercato che produce da multinazionali, aiutare la microeconomia locale e l’identità agroalimentare umbra, simbolo della storia e cultura di questa regione, distribuendo i prodotti coltivati nell’orto sinergico esclusivamente nelle realtà ristorative più attente alla ricerca di garanzia e qualità della materia prima, per innescare un circolo virtuoso di sostenibilità ed economia circolare.