Lo incontro un pomeriggio di un settembre appena cominciato. Mi accoglie in azienda con le havanas e il sorriso “da burlone”.
Non perde tempo in convenevoli da benvenuto e mi invita subito a seguirlo. Cerco di stare dietro al passo energico e veloce pensando che la direzione presa porti ai vigneti, invece mi trascina a raccogliere i pomodori (ma quelli “antichi”, li chiama così, la sua ultima passione e piccola fissazione).
Giampaolo Tabarrini, fuori classe del territorio di Montefalco, colui che ha scommesso su tre cru di Sagrantino, è così: “casereccio”, produttore senza fronzoli. Per lui le sue uve e questi pomi gialli e arancioni, che riportano alle rotte originarie dell’ortaggio re della nostra dieta, alle terre del Messico, dall’intensissimo e dolce sapore (per farmeli apprezzare ha preparato un piatto da degustazione ancor prima di versare i vini nel calice), hanno pari dignità.
Un esempio per spiegare la “politica di marketing” che adotta: semplicemente, la passione per ciò che coltiva. Del resto le mani nella terra e nel vino Giampaolo le ha messe sin da piccolino e le regole della vita di campagna sono le uniche a cui ha voluto dare retta. Tanto che caparbio a 22 anni, andando contro le raccomandazioni dei genitori (soprattutto della mamma) di fare carriera fuori o in un altro ambito che non fosse quello del vino, ha voluto a tutti costi “insediarsi” nella cantina di famiglia. Diventata però sua dopo quattro anni di “rigorosa osservazione” da parte del padre Nello. Difficilmente si incontrano produttori che ostentano, o più corretto, sprizzano così tanto orgoglio ed entusiasmo per la scelta di vita fatta. La gioia che manifesta Giampaiolo non è mera derivazione di un’ indole solare e mediterranea, è una gioia sudata, conquistata, voluta. Perché lo ha sempre saputo che il vino racchiudeva il senso di tutto. Adesso è uno dei produttori icona del Sagrantino, rappresentante della nuova storia enologica umbra. Ha appreso, e continua a farlo, tutto quello che c’era da imparare da chi ha sempre fatto il vino e lavorato la terra, e continua a circondarsi di coloro che faticano tra i campi e i filari. I suoi primi ricordi del vino li lega alla Barbera che coltivava il nonno, vitigno che nei primi del ‘900 disegnava il paesaggio agricolo di molte aree del centro Italia.
Non c’è altro modo di descriverlo se non come produttore figlio dei suoi tempi, anzi precursore. Ha capito molto prima dell’”attuale assalto all’estero” che il territorio va difeso in casa e promosso oltre confine. Uno dei pochissimi in Italia, tra questi anche Masciarelli, ad avere acquistato la licenza di importare e distribuire negli Stati Uniti. Quella finestra che si è aperta qualche anno fa non se l’è lasciata scappare. Si muove bene nel mondo e nei mercati, anche in quelli difficili, per noi italiani, come la Francia.
Produce poco meno di 100mila bottiglie. Sul metodo di coltivazione riporto le sue stesse parole: “Ci sono le lumache nelle vigne”. Raccontiamo di Giampaolo quale protagonista della storia Tabarrini, ma in realtà è solo uno degli artefici. Va riconosciuto, infatti, un merito a questo giovane produttore: quello di parlare sempre al plurale. Non è lui a fare il vino, ama precisare e ribadire, ma tutti i personaggi con i quali condivide questo percorso, tra questi: il papà, la moglie Federica, l’enologo Emiliano Falsini, Arturo il suo cantiniere fidato, Stefano Dini che cura l’aspetto agronomico. Potrebbe sembrare una “puntualizzazione di circostanza”, in verità lo spirito di squadra c'è ed è pure forte, ne sono stata testimone oculare in lungo pomeriggio trascorso insieme a loro tra assaggi, chiacchiere e battute.
Giampaolo ed Emiliano Falsini
Nelle guide nazionali il nome Tabarrini emerge con il massimo dei voti dati ai suoi cru, sui quali però si dividono le preferenze dei curatori. Colle alla Cerqua, Colle Grimaldesco e Colle alle Macchie, nascono da un’idea ben chiara di identificare il marcatore di ciascun vigneto e valorizzarlo. Il primo progetto in assoluto pensato e tagliato sulle diverse espressioni del Sagrantino in quell’areale. Intuizione azzeccata, viene poi da dire dopo avere assaggiato la triade annata 2008 e su cui ci soffermiamo per dare solo una sintesi della scommessa sull’origine territoriale dei vini che l’azienda porta avanti. Tre differenti “carte di identità” che condividono la longevità. “Dopo tempo rimangono dritti”, citando ancora le parole di Giampaolo. E una nota, il produttore ci anticipa che usciranno sul mercato dal prossimo anno con lo stesso prezzo.
Sagrantino di Montefalco Colle alla Cerqua nasce in un fazzoletto di 10 ettari, su cui domina un’imponente quercia (da cui il vigneto prende il nome) esposto a sud con terreno limoso argilloso a 360 metri d’altezza. Suadente e fine al naso. Emergono note di spezie dolci, di frutti rossi sotto spirito, di rosolio alle rose. L’ingresso è setoso. Ha tannini dolci ed è equilibrato. Ricco dal punto di vista dell’estrazione. Rimane a lungo con note di frutti rossi e punte di salvia.
Montefalco Rosso Colle Grimaldesco nasce invece in un vigneto esposto ad est ed immerso in una scenografia naturale che incantò il re Longobardo Grimovaldo che governò il Granducato di Spoleto. Il terreno è argilloso con presenza di ciotoli di fiume. E’ un vino più terroso rispetto al primo. Emergono note tostate e di frutta rossa matura. Elegante. Grande estrazione. Caldo.
Montefalco Colle alle Macchie è il vino dalla “doppia anima”. Ottenuto da un uvaggio di Sagrantino proveniente dalle due vigne più alte dell’azienda, una esposta a sud e l'altra ad est. Decisamente fruttato al naso, spicca la nota di prugna. Tannini decisi e dolci. Morbido. Regala freschezza.
Manuela Laiacona
Azienda Agricola Giampaolo Tabarrini
Frazione Turrita
06036 Montefalco (PG)
info@tabarrini.com
www.tabarrini.com