Mauro Lunelli e bottiglie
Ogni dieci spumanti metodo classico che si stappano in Italia, tre sono Ferrari, l’azienda trentina fondata nel 1902 da Giulio Ferrari e oggi saldamente in mano alla famiglia Lunelli.
Ereditata dal capostipite Franco Lunelli, che nel 1952 l’ha acquisita ma senza averne la minima consapevolezza di poter entrare un giorno, e neanche tanto lontano, in possesso di un vero e proprio mito italiano. Con un esborso esagerato, per quell’epoca, 30 milioni che rappresentavano il fatturato di cinque anni del suo esercizio, una “Mescita di vino” così definita la sua enoteca, come si chiamerebbe oggi, al centro di Trento. Il 30 per cento della quota di mercato italiano dello spumante metodo classico in loro possesso, non è certo il distintivo più brillante attaccato al petto della loro giacca. Hanno rilevato l’azienda che registrava una produzione di ottomila bottiglie. Oggi sono quasi a cinque milioni. Ma non è neanche questa la conquista di cui sentono di vantarsi. Basti pensare che le loro etichette si trovano in 180 paesi del mondo. Ma questo, abbiamo scoperto, è un altro dettaglio insignificante. Allora pensiamo ai tanti re, regine, capi di stato, Papi che hanno brindato per un’occasione, un evento, col loro spumante metodo classico. Anche queste, quisquilie, minuzie di poco valore. Non resta che provare a smontare la loro imperturbabilità citando, vanamente, i grandi nomi della scienza e dell’arte del ‘900, che hanno segnato qualche pagina della storia di questo brand: Guglielmo Marconi, Enrico Fermi, Andy Warhol, Giò Pomodoro e fermarsi qui e non essere noiosi. Ma insomma, chiediamo a Mauro Lunelli uno dei cinque eredi (gli altri sono Franco, Giorgio, Gino e Carla tutti con rampolli già entrati o pronti ad entrare in azienda) per molti decenni il responsabile enologico dell’azienda e firmatario di tante chicche, quale il “Giulio Ferrari” per citarne una, qual è la conquista che più vi inorgoglisce?«E’ il sapere che i nostri vini, come il “Giulio”, che non facciamo tutti gli anni perché la sua qualità e legata all’eccellenze delle sue uve e che la natura ci regala solo otto anni su dieci, ha sempre ottenuto il massimo dei punteggi in tutte le guide. Non è l’orgoglio di stare in cima ad una classifica, ma la gratificazione di un riconoscimento al nostro sforzo a mantenere livelli qualitativi eccellenti. Anche a costo di sacrificare intere produzioni viticole. Il “Giulio Ferrari” è l’unico vino il cui palmares celebra una costante qualità che nessun altro può vantare. E quando compete in degustazioni alla cieca, pochissimi riescono a distinguerlo dai più celebrati champagne francesi».
Una filosofia politica di un’azienda che ha tracciato le direttive per affrontare indenni le insidie di frequenti tempeste, economiche e di mercati. «E’ una linea che ci rende ottimisti sul futuro delle bollicine: notiamo che le statistiche alzano l’indice di consumo sulla voce di questo tipo di prodotto, lo spumante metodo classico, soprattutto all’estero e in paesi importanti come la Germania e l’Inghilterra anche perché le bollicine non sono più pensate solo come aperitivo e o come bevanda della festa di capodanno o compleanno ma come ideale accompagnamento ai pasti quotidiani. E’ la corposità di certi prodotti invecchiati che con la loro pienezza costituiscono l’arma vincente per tanti azzeccatissimi abbinamenti».
Alessandro Torcoli, direttore di Civiltà del Bere e Mauro Lunelli a VinoVip di Cortina
Poche ombre secondo lei nel “futuro delle bollicine”. E quali, allora saranno invece le “bollicine del futuro”?
« Quelle che ambiscono a dotarsi di un cliché ben collaudato : “secco e corposo”. Non riesco invece ad immaginare prospettive positive per le bollicine “dolci”. Almeno così dicono le statistiche. L’Asti ad esempio non ha registrato lo stesso boom del Prosecco o del metodo classico nostro e dello Champagne che è secco e che in Francia si è attestato a 300 milioni di pezzi, non conosce flessioni, e rappresenta un indice inconfutabile e incoraggiante. Da farci vincere ogni complesso di inferiorità verso i francesi, visto che il nostro Trento Doc, fatto con le stesse uve, la stessa tecnologia e con la sola differenza dell’origine perché il clima delle nostre regioni è lo stesso, la temperatura media simile, e una escursione termica diurna e stagionale forse adeguata ai parametri francesi, insomma il tutto nonostante la differenza della latitudine che abbiamo compensato con l’altitudine di queste chine che poi regalano all’uva le caratteriste aromatiche e complessità che lo fanno competere alla pari dei blasonati francesi».
Un sogno non realizzato nel cassetto lo conserva ancora?«Mi sento un fortunato. Ho realizzato quasi tutto ciò che sognavo. Per primo: il “Giulio Ferrari”, la nostra perla del catalogo. Nove anni sui lieviti, studi, prove, duro lavoro. Poi mi vanto di essere stato tra i primi in Italia a produrre uno spumante rosé. Un’intuizione. Avevo capito che il mercato chiedeva quello dopo il successo dei rosati francesi. Ho poi introdotto il “millesimato”, fino agli anni sessanta non li “millesimava” nessuno. Poi c’è il nostro “Perlé” che una volta si chiama Brut de Brut …».
-Ci può bastare, lo interrompiamo, ma il cruccio di un solo insuccesso ci sarà…
«Si c’è, ma non rientra nel mio mondo delle bollicine. Da ragazzo non vedevo l’ora di assolvere l’obbligo della leva militare. Non sono un patriota, ambivo a far parte della squadra degli sciatori della Guardia di finanza. Un’attesa snervante di quella “chiamata alle armi”. E arrivò il giorno di quella “Cartolina”. Ma con un avvilente annuncio: ”Esonerato”. La famiglia Lunelli aveva già concesso due figli alla Leva militare ed era già molto, poteva bastare. Beh, confesso, ritengo questa amarezza un doveroso ticket pagato a quel fato che poi mi avrebbe riservato una lunghissima catena di gratificazioni…».
E Mauro Lunelli è da cinquant’anni che ancora ci brinda sopra. Con ottimi spumanti metodo classico…
Stefano Gurrera
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