di Stefania Petrotta
Forse non tutti sanno cosa sia l’acquaponica, sebbene ultimamente questo termine si senta sempre più spesso.
Noi di Cronache di Gusto ne avevamo dato un assaggio, nel vero senso della parola, ad una delle cene dell’ultima edizione di Taormina Gourmet, lo scorso ottobre. Come spesso accade, e come da sempre sosteniamo, sono infatti gli chef i primi ambasciatori del proprio territorio e il loro supporto è importantissimo per il sostegno dei produttori del territorio. Ma facciamo un passo indietro: cos’è l’acquaponica? Si tratta di un sistema combinato che integra la produzione in acquacoltura con la coltivazione idroponica sfruttando, appunto, come vettore comune l’acqua. In sostanza, da un lato si allevano specie ittiche in ambienti confinati e controllati, dall’altro si utilizza una coltivazione fuori suolo (in acqua, appunto) per ortaggi e affini. Per capirne di più siamo andati a conoscere Lorenzo Cannella a Scicli, in provincia di Ragusa, dove ha sede la sua azienda “Mangrovia”, azienda che, non a caso, prende il nome dalle formazioni vegetali delle zone tropicali acquatiche.
Lorenzo ha 31 anni, è originario di Scicli ma, come spesso accade, appena ha potuto è andato a studiare fuori dalla Sicilia specializzandosi in scienze ambientali e scienze del mare e fino a 5-6 anni fa non gli sarebbe mai venuto in mente di tornare in Sicilia, lavorando ormai lui stabilmente negli Stati Uniti. Fino a quando, appunto, non si imbatte nell’acquaponica e gli inizia a ronzare in testa l’idea di impiantarla in un terreno di famiglia, nella nativa Scicli, che già ospitava delle serre. Ed è così che, tra il 2017 e il 2018, nasce Mangrovia. “Inizialmente – racconta Lorenzo – avevo pensato di sviluppare il progetto in città attraverso una urban farm, ma se già così il progetto ha dei costi importanti, in quel caso sarebbero stati esorbitanti. E poi mi piaceva l’idea che l’acquaponica non solo potesse essere innovativa, ma anche rivoluzionaria: che potessimo essere qui in provincia di Ragusa tra i primi in Italia e in Europa a produrre con questa tipologia di impianto. Mi stuzzicava l’idea di trovare una soluzione per limitare l’impatto ambientale e, al contempo, trovare una modalità interessante per produrre, ma mai pensavo che avrei fatto l’imprenditore”.
A posteriori, ammette che non sia stato semplicissimo. Da un lato perché il contesto era culturalmente e socialmente molto differente da quello americano; dall’altro perché Lorenzo, che ha impiantato la propria attività esclusivamente con mezzi e fondi propri, veniva da una preparazione prettamente ittica e quindi ha dovuto studiare il mondo delle piante, cos’è una serra, cos’è un impianto idraulico, cosa un impianto elettrico. Ma anche la sua specializzazione riguardava più l’ambito dell’ecosistema marino, quindi ha dovuto approfondire la tematica della pesca, del monitoraggio ambientale marino e la tecnica stessa dell’acquacoltura. “Diciamo che se anche un domani dovessi chiudere quest’attività, potrei andare a fare qualsiasi genere di cosa adesso”, scherza. Oggi l’azienda alleva pesce persico, una specie che si adatta benissimo alla zona nella quale viviamo ed è ottimo per le sue carni e per la loro compattezza. Un pesce che impiega quasi due anni a crescere e che è ormai totalmente siciliano perché viene allevato, riprodotto e fatto crescere integralmente nell’Isola. Per quanto riguarda i vegetali, invece, alla produzione di piante a foglia, lattughe, bietole, cicorie, prezzemolo, basilico, senape, cavolo, lattughino si è aggiunta nell’ultimo anno quella del pomodoro, sia ciliegino che datterino. Nel futuro prossimo l’intenzione è quella di coltivare sia varietà antiche locali, sia varietà più particolari non locali che possono essere molto difficili da trovare ma molto valorizzate.
Il sistema è davvero interessante. Ci sono le vasche di allevamento dotate di due tipi di filtri, quello meccanico che separa la sostanza organica dei pesci dall’acqua, e quello biologico che permette di trasformare l’ammonio in nitrato così da poter riutilizzare l’acqua sia nuovamente per i pesci che per le piante stesse. Un processo del tutto normale in natura, anche senza l’apporto della mano dell’uomo e che dall’alba dei tempi ha permesso alla vita di proliferare. Inoltre, con questo sistema si riutilizza sempre la stessa acqua. Quella che esce dal sistema lo fa solo per evaporazione o per traspirazione delle piante. Non si usano antibiotici per i pesci o fitofarmaci per le piante perché i primi distruggerebbero la comunità batterica essenziale per il funzionamento del processo e i secondi ucciderebbero i pesci. Quindi è un sistema che oltre a essere sostenibile è salubre. Inoltre, la lavorazione in acquaponica è fuori suolo, sia per la parte ittica che per la parte ortofrutticola, e questo fa sì che non impatti direttamente sull’ambiente. Si pensi ad esempio all’utilizzo dei diserbanti che qui viene meno, così come si abbassa al minimo l’invasione degli insetti sia perché non c’è contatto col terreno, sia perché l’isolamento attraverso l’uso di barriere meccaniche permette ad una minima parte di insetti di arrivare per via aerea. Il sistema è quindi una modalità intelligente ed efficiente per riutilizzare delle risorse o degli scarti che andrebbero buttati o che andrebbero a creare un impatto sull’ambiente. Inoltre, coltivando le piante con sistemi a letto flottante, basta prendere i singoli pannelli, poggiarli sul tavolo e lavorare comodamente. E, una volta fatta la raccolta, si possono immediatamente posizionare le nuove piantine. Oltre alla velocità e al risparmio nell’utilizzo di macchine agricole come trattori o motozappe, si aumentano anche i cicli di produzione.
Ma come reagisce il territorio? “Abbiamo ancora difficoltà a far fare determinati meccanismi di ragionamento – ammette Cannella – Nel nostro caso, l’isolamento dall’ambiente è una caratteristica altamente positiva, ma la gente è ancora convinta che ciclo chiuso voglia dire produzione in laboratorio. I consumatori ormai sono abituati a dare importanza ad alcune cose, prima fra tutte la sostenibilità. Ma per produrre sostenibilmente i costi sono più alti perché occorrono determinate risorse (acqua, energia elettrica, etc), da cui prezzi più alti per questi prodotti. Occorre educare, sì, ma anche insegnare che esistono varie scelte sostenibili. Oggi il consumatore cerca il prodotto biologico, ma ci sono altri aspetti ugualmente importanti, quali appunto il risparmio idrico. Non c’è un’unica modalità di sviluppo, ci sono tante modalità di crescita che portano ad un risultato sostenibile: noi lavoriamo al di fuori della terra per non impattarla, ma magari altre realtà lavorano con la terra per rigenerarla, ed è così che si raggiunge un obiettivo. Anche dal punto di vista degli animali, al di là che un domani si diventi tutti vegetariani, ci sarà sempre chi vorrà introdurre nella propria dieta del pesce. Noi permettiamo di farlo in maniera sostenibile grazie ad un pesce allevato a chilometro zero in una certa maniera: ingerisco sempre delle proteine animali, ma che arrivano al mio organismo con una storia diversa”. Insomma, in un mondo che ormai viaggia verso progetti virtuosi di sostenibilità, in Mangrovia ne abbiamo un esempio lampante.