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L'azienda

“Così la nostra vigna ci ha dato il futuro”

28 Settembre 2011
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Da sinistra Rosolino, Natale e Nino Alessandro

Oggi La Stampa di Torino ha pubblicato un articolo sull’azienda Alessandro di Camporeale, in provincia di Palermo presa a mo’ di esempio come modello di impresa vitivinicola che nasce dal vigneto di famiglia. Ecco il testo a firma di Laura Anello.

Fino a dieci anni fa, era un terreno di famiglia portato sulle spalle come un peso: tre fratelli a darsi il cambio, uva venduta ai privati e alle cantine sociali per farne vino sfuso. Adesso, a trenta chilometri da Palermo, nella provincia dove la disoccupazione giovanile supera il 30 per cento, l’azienda Alessandro di Camporeale ha dato un futuro ai tre ragazzi della famiglia, assunto a tempo indeterminato tre giovani, offerto contratti di lavoro stagionale ad altri sei.

Dodici posti di lavoro che sono un tassello di quegli 8.100 che l’agricoltura ha portato in dote all’economia italiana nel 2010. Unico appiglio di quel Sud che aveva abbandonato la terra, inseguendo il sogno del parastatale, dei servizi, del commercio. E che invece alla terra sta tornando, puntando su qualità, innovazione, industrializzazione. Questa la ricetta di molti agricoltori siciliani, vigneron in testa. Questa la storia dell’azienda della famiglia Alessandro, nata nel paese di Camporeale. “Siamo tre fratelli – racconta Nino – io facevo libera professione come agronomo, Natale lavorava al ministero delle Poste, Rosolino al Comune. Nel 2000 stavamo dividendo la proprietà e invece abbiamo deciso di rilanciare”.

Così i vecchi vitigni di trebbiano hanno lasciato il posto a quelli di Sirah, proprio quando scoppiava la passione per il vino rosso ricavato da questa varietà d’uva internazionale che ha trovato una nuova patria in Sicilia. Poi la cantina, realizzata a metà con un finanziamento europeo e per l’altra metà con fondi propri, “senza chiedere un soldo in banca – spiega Antonino – perché non volevamo partire indebitati”.

La prima etichetta si chiama Kaid, dal nome del capo villaggio ai tempi della dominazione araba, ed è un piccolo fenomeno, “14 mila bottiglie vendute in tre mesi, sembrava che la gente aspettasse il nostro vino”, sorride. Da lì i premi, le esportazioni negli Stati Uniti e in Svizzera, ora la ricerca di un nuovo mercato in Cina. “Facciamo 160 mila bottiglie – racconta – l’obiettivo è di arrivare a 250 mila”. Ma la soddisfazione più grande è quella di avere dato occupazione: “Mio figlio Benedetto, 24 anni, studente in Scienze agrarie, adesso è a New York a preparare la sua tesi di laurea; il figlio di Natale, che si chiama Benedetto anche lui, studia enologia a Trento; la figlia di Rosolino, Anna, fa l’avvocato e lavora per noi”. E poi i tre giovani formati e assunti: uno fa il cantiniere, l’altro si occupa della contabilità, un’esperta di comunicazione è la donna-immagine dell’azienda. “Il nostro lavoro – dice – era fatica, calli, mani sporche. Adesso i nostri figli fanno impresa”.