di Simone Cantoni
L’idea della birra coma compagna, in tavola, di una gastronomia prevalentemente (se non esclusivamente) di appartenenza tedesca, o comunque nordeuropea, è stata da tempo messa in soffitta.
E per fortuna, trattandosi di un’idea arbitraria, dettata da luoghi comuni: alla prova dei fatti infondata. Eppure è un dato oggettivo a decretare come alcune ricette facenti capo alle tradizioni culinarie delle latitudini settentrionali del nostro continente abbiano, nei confronti dell’abbinamento con la “pinta”, una vocazione autentica e inoppugnabile. Così oggi ci piace parlare di un piatto semplice semplice da preparare e, insieme, ricco di soddisfazioni per il palato: i weisswurst bavaresi con un contorno di patate bollite e aromatizzate.
IL WEISSWURT
Tra i fiori all’occhiello della cucina di tutto lo Stato che ha per capitale Monaco, ma diffusi anche oltre i suoi confini, ad esempio in Austria e Alto Adige, i weisswurst (traduzione letterale: wurstel bianchi) sono insaccati che si preparano riempiendo un involucro di budello suino con un fine macinato di carne sia bovina (vitello) sia di maiale, quest’ultima includente parti di tessuto connettivo (pancetta, cotenna), il cui impasto viene abbondantemente trattato con prezzemolo, buccia di limone, noce moscata, cipolla, zenzero, cardamomo e sale. Se ne ottengono salsicciotti da lessare, in acqua calda ma non bollente onde evitare di lacerare la pellicola di contenimento, preferibilmente entro poche ore dal confezionamento in macelleria. Da poter servire accanto a contorni di vario genere (senape, crauti, cipolle in agrodolce, ravanelli, cetrioli…), sono tuttavia consacrati dall’iconografia mangereccia con al fianco, in primis, una generosa porzione di patate. Ad esempio bollite, a loro volta; poi tagliate a cubetti ed esse stesse “spolverizzate” (prima di essere servite anche fredde) con aromi e spezie: prezzemolo, certo; ma anche, volendo (e qui si va di fantasia), basilico, menta, erba cipollina, maggiorana, rosmarino, timo…
UNA PORTATA DI SOSTANZA
Boccone decisamente energetico, in quanto ben dotato di grassi e proteine, il weisswurst presenta una consistenza tenera, alla quale si allinea quella della patata: che con il suo apporto amidaceo va ad addensare, saldandosi all’appena citata componente lipidica dell’insaccato, una massa bisognosa di essere diluita da opportune funzioni di gestione a carico del bicchiere: bollicina, alcol, acidità. Ciò detto il gusto risulta sostanzialmente dolce con una venatura di sapidità (e qui, in abbinamento, è sufficiente rimanere bassi con le amaricature della birra da scegliere); ma è soprattutto il respiro olfattivo del piatto a determinare il suo profilo organolettico complessivo: un respiro olfattivo da agganciare e assecondare nella sua tendenza speziato-aromatica. In che modo? Tra le varie soluzioni, ne abbiamo selezionate tre: eccole qua…
CON LA HEWEWEIZEN
La prima prova d’urto è in realtà un atterraggio morbido programmato. Ché la prassi di accompagnamento con la Hefeweizen è, come minimo, codificato dalle sacre scritture gastronomiche della stessa Baviera. In questo caso si è puntato su un’interpretazione nostrana dello stile: quella “Rat Weizen” che è tra le etichette storiche del “Birrificio Montegioco” (appunto a Montegioco, in provincia di Alessandria) e che rappresenta ancora una tra le migliori “birre di grano” del panorama nazionale. Di colore dorato carico, ritualmente velata e rigogliosa di schiuma, in riferimento al nostro piatto esibisce sostanzialmente tutti i requisiti elencati in premessa: acidula, ben frizzante e sufficientemente alcolica (5.5 gradi); esente da tentazioni amaricanti; dotata di un olfatto giudiziosamente fruttato e invece ben speziato (chiodo di garofano, vaniglia). Forse, sì, una spinta aromatica leggermente inferiore a quella del boccone… Asimmetria contenuta, però: e problema inesistente.
CON LA SAISON
Restiamo in Piemonte (il produttore e “Croce di Malto”, a Trecate, nel Novarese), ma cambiamo stile: con la “Temporis”, una Saison ambrata e decisamente bilanciata. La cui personalità organolettica migliora ulteriormente, rispetto al primo “giro”, la capacità di gestione della massa amidaceo-lipidica del piatto: grazie all’aumento degli ottani alcolici, in questo caso a quota 6; e a una bollicina ancor più ficcante. Crescono, inoltre, l’intensità e l’ampiezza del dialogo tra le speziature (detto sempre in senso lato) della pietanza e quelle della birra (coriandolo, cardamomo, pepe, vaniglia, fiori di sambuco, noce moscata, lime). Unica discrepanza, la leggera vena amaricante della sorsata, che, qua e là, sfiora l’attrito con le sapidità e le piccantezze del boccone. Anche stavolta, tuttavia si tratta di un disallineamento davvero minimo: che registriamo, quasi, per puro dovere intellettuale.
CON LA TRIPEL
E qui il gioco si fa duro. Perché sul “quadrato” sale la “Tripel” (niente nome d’arte nella carta d’identità: solo l’indicazione stilistica) firmata, a Marnata (Verese), dal marchio “Extraomnes”, uno dei “più belgi” tra birrifici italiani. Un calice dal caldo dolore dorato carico (velato e lussureggiante di schiuma) la cui bevuta, nel corpo a corpo col piatto, intensifica la linea di condotta tracciata dalla Temporis: con un calore alcolico che sale ulteriormente, attingendo gli 8 gradi e 1; con una ricchezza olfattiva, in specie speziata e floreale (pepe, peonia, caprifoglio, artemisia, sambuco), che rende davvero trascinante l’interscambio con la piattaforma odorosa del tandem weisswurst-patata. Due sottolineature: in primo luogo si registra, ancora, una lieve frizione tra sapidità del wurstel e amaricatura della sorsata (ma, come nel caso precedente, quella frizione, più che lieve, è proprio al limite del percettibile); secondo punto, qui la spallata etilica della bevuta è davvero possente: ma mai sottovalutare la capacità d’assorbimento e attenuazione esercitata delle componenti grasse e carboidratiche (in particolare amidacee) contenute in un boccone…
BIRRIFICIO MONTEGIOCO
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T. 335 5748181; 334 8055379
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BIRRIFICIO EXTRAOMNES
Via Enrico Mattei, 2 – San Giustino (Perugia)
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