di Irene Marcianò e Sara Spanò
A volte si pensa che per scoprire un territorio del vino e respirarne l’anima sia necessario visitarlo.
Ci sono invece alcuni produttori, che incarnano realtà iconiche della viticoltura italiana, capaci di trasportarti in quei luoghi soltanto attraverso le loro parole. E’ il caso di Walter Massa, patron di Vigneti Massa, che ci ha condotto sui Colli Tortonesi, in Piemonte, attraverso il suo appassionato racconto sul Timorasso e sui suoi vini che abbiamo avuto occasione di degustare qualche giorno fa presso il ristorante I Giardini del Massimo a Palermo. In particolare, guidati da Federico Latteri di Cronache di Gusto, abbiamo spaziato dal Derthona, vino classico dell’azienda derivante da un assemblaggio di più parcelle, fino ad arrivare a tre cru dell’azienda, ognuno proveniente da un vigneto specifico: Montecitorio, Costa del Vento e Sterpi. Vigneti Massa, cantina a conduzione familiare oggi gestita da Walter Massa che porta avanti il progetto iniziato dai suoi antenati, nasce nel 1879 sui Colli Tortonesi, promontori che corrono da nord a sud tra la città di Tortona e la città portuale di Genova, in particolare sulle colline di Monleale, in provincia di Alessandria.
I vigneti, che oggi si estendono per circa 30 ettari, sono situati a 300 metri di altitudine. Qui sono coltivati, oltre a una piccola parcella di Nebbiolo, i vitigni più tipici del territorio: Barbera, Croatina, Freisa, Moscato, ma soprattutto il Timorasso, vitigno autoctono a bacca bianca, oggi riscoperto proprio grazie al grande lavoro di Walter Massa. La storia di Walter è infatti legata a quella di questo vitigno, sottovalutato fino alla fine degli anni ’80, perché poco produttivo e poco costante. Anche se molto resistente alle malattie, stava cadendo in disuso in favore di altre uve autoctone a bacca rossa, capaci di produrre di più, dando meno problemi in vigna. Massa invece ha creduto in questo vitigno e nel suo terroir, tanto da decidere tra gli anni 80/90, di reimpiantarlo, vinificandolo con successo. Oltre ad avere contribuito alla rinascita del Timorasso, Walter ha avuto la grande intuizione di utilizzare il tappo a vite sui suoi vini bianchi e sperimentarne interessanti benefici sulla qualità evolutiva del vino. Spesso si parte dalla convinzione che il sughero monopezzo sia un materiale naturale e pertanto dalle prestazioni migliori. In realtà, non è sempre così ed esistono ormai tantissime soluzioni alternative in termini di performance, che evitano i difetti secondari dei classici tappi in sughero.
Oggi tutti i vini bianchi di Walter Massa hanno tappo a vite e si comincia ad intravedere tale possibilità anche su alcuni rossi: “Nel 2015 vendevo per il 30% bottiglie con tappo a vite – commenta Walter Massa – che nel 2018 si è trasformato nel 40% e ancora nel 2021 nel 50%. Questo dato mi fa capire che la tendenza delle tappature nei prossimi 5 anni sarà proprio il tappo a vite e che si tenderà a parlare della differenza di guarnizione più che dei difetti dati dal sughero.” Un tasting nel tasting quello di Palermo, durante il quale abbiamo avuto modo di comparare le stesse annate di alcuni vini con differenti tipologie di chiusura, a vite ed in sughero, mettendo in evidenza differenze e qualità evolutiva.
Apriamo la degustazione con il Derthona 2017 con tappo a vite e la stessa annata con tappo in sughero, due vini che esprimono le loro differenze già al colore: il primo si presenta infatti più giovane coi suoi riflessi vivaci rispetto al secondo. Anche al naso si notano delle distinzioni, date dalla diversa tipologia di chiusura. Mentre il primo ha conservato integralmente i suoi sentori, risultando vivo, giocato sulle pungenze delle erbe aromatiche, aromi sottili di idrocarburi e fini tratti mielati, nel secondo riscontriamo una terziarizzazione più spinta con profumi di fiori gialli leggermente appassiti, foglia di the e note fruttate di susina. Al palato le differenze sono ancora più amplificate: Il Derthona 2017 con chiusura con tappo a vite ha un profilo dritto e, nonostante sia un vino con qualche anno alle spalle e l’annata sia stata abbastanza calda, è fresco ed energico; il Derthona con tappatura in sughero ha invece un profilo più rotondo, giocato sulle morbidezze. La differenza, dunque, risiede nella loro qualità evolutiva, che pare essere a favore del Derthona 2017 tappato a vite. Proseguiamo con l’assaggio del primo cru, il Montecitorio 2018, figlio di un’annata ricca e produttiva, in questo caso tappato col classico tappo in sughero. Il colore ci richiama il primo vino, chiaro e vivace. Oltre all’annata, le differenze all’olfatto e al gusto sono date dalla provenienza delle uve, raccolte da un vigneto impiantato nel 2006 ed esposto ad est.
Il naso è profondo, più orientato rispetto ai precedenti vini sulle dolcezze a livello aromatico, con note mielate, di zucchero a velo e di erbe aromatiche sullo sfondo. In bocca si caratterizza per morbidezza e avvolgenza, accompagnate da una spalla acida e una buona sapidità che ci danno un’idea di completezza.
Il secondo cru in degustazione è Costa del Vento 2017, nelle due diverse tappature. Se Montecitorio 2018 ha un naso caratterizzato dalle dolcezze, in questo vino dalla tappatura a vite emerge l’idrocarburo, ma soprattutto la pungenza delle erbe aromatiche, il fiore giallo di campo, maturo ma mai appassito, intenso. Lo stesso vino, tappato in sughero, all’olfatto appare meno complesso, con foglia di the in evidenza. Anche al palato notiamo un’evoluzione totalmente diversa: se Costa del Vento 2017 tappato a vite ha una spina acida più pronunciata, una buonissima struttura ma molto snellita dalla sua acidità, nella tappatura in sughero notiamo una maggiore morbidezza e avvolgenza. Complessivamente in quest’ultimo c’è una perdita di energia, di brio. Passiamo infine al terzo cru, Sterpi 2016, un grande vino, figlio di un’annata perfetta in tutta Italia, caratterizzata da grande equilibrio. In questa coppia di campioni le differenze tra le due tappature, seppur esistenti, sono meno marcate. La bottiglia tappata a vite è caratterizzata fortemente dalla balsamicità del Timorasso. Qui l’erba aromatica si manifesta con maggiore freschezza rispetto alla tappatura in sughero ed emerge più netto l’idrocarburo. Ed ancora, al palato l’acidità è sferzante, il che ci fa pensare ad una evoluzione molto lunga del vino, rispetto a quello tappato in sughero. In conclusione, possiamo affermare di avere partecipato ad una degustazione suggestiva e sorprendente, durante la quale, oltre ad avere percepito differenze più o meno marcate tra i campioni con diverse tappature, abbiamo innanzitutto assaggiato dei bianchi, interpretazioni diverse di uno stesso vitigno, che esprimono una qualità assoluta, una forte impronta territoriale ed interessantissime capacità evolutive.