Dal Salento fino alla Murgia passando per la Messapia ecco un percorso tra i calici della Puglia fatto al Vinitaly.
Salti tra passato e futuro della regione rivelazione dell’anno, tra cantine che appartengono al capitolo delle cooperative e new celebrity.
Tenendo come rotta il lavoro che nel tacco d’Italia si sta portando avanti con i vitigni autoctoni, abbiamo voluto sondare le interpretazioni del territorio. Che sono state diversissime per quanto sono le formule del legame terra-uomo cui ricorre ciascun produttore.
Con nuove annate e cavalli di battaglia, il quadro finale, seppure così variegato nelle tinte, ha fornito un dato certo: vini fortemente identitari, che segnano una nuova maturità enologica e, cosa di non poco conto, fortemente competitivi per rapporto qualità prezzo. Insomma una regione che se entrata sulla scena dei big relativamente da poco tempo sta recuperando di gran fretta tutti i gap temporali e qualitativi.
Che il comparto pugliese stia quindi vivendo uno stato di fermento lo si è colto più o meno in tutti gli assaggi chiacchierando con i produttori: voglia di conquistare il mercato da parte di ciascuno tenendo alta la bandiera di uno stile produttivo che si lascia alle spalle un passato da vino sfuso per indossare il manto di una enologia di alta categoria.
Ne è un esempio un Passito di Fiano, ultimo tra i nati sotto il brand Campi Latini. Bottiglia che comunica il volta pagina definitivo di una cooperativa storica del salentino che risale al 1937 e che ha virato verso una produzione vinicola di qualità concentrata sugli autoctoni, ed oggi facente parte della società Agricola Nuova Generazione. Sciakuddhi è il folletto burlone e dispettoso delle leggende popolari salentine ed è lo spirito vibrante di questo passito, oltre che il suo nome. Freschissimo al naso, in bocca con un’acidità persistente. Vino dolce e vivacissimo nella sua impronta, senza sbavature. Solo 2.000 le bottiglie prodotte.
La Messapia, terra del Primitivo e di Gianfranco Fino. L’uomo del vino star dell’anno lo è stato anche di Veronafiere. La curiosità ha spinto verso il suo stand per assaporare il successore del pluripremiato Es 2009, atteso come un banco di prova della bravura dimostrata dal produttore. E più che una conferma, l’annata 2010 sembra avere sancito un’evoluzione. Ancora più sorprendente, il Primitivo nelle mani di Fino. Sta diventando un monumento all’eleganza. Peculiarità che, grazie all’intuizione di questo enologo, finalmente fa entrare a buon diritto il Sud nelle alte sfere del vino. Pochi anni, pochi ettari e tanta meticolosità, il tutto in una fascia di terra incastonata tra gli ulivi e le correnti dello Jonio, questo c’è voluto per riuscire nella più grande impresa, enoica ed eroica, degli ultimi anni. Un traguardo incassato in attesa del Pas Dosè di Negroamaro, novità in cantiere di cui si prospettano pochissime magnum all’orizzonte, come preannuncia il produttore.
Gianfranco Fino
Risalendo verso Nord si approda nelle Murge. Terra di rossi, con le Doc Castel del Monte, Doc Rosso Barletta, Doc Rosso Canosa, Doc Rosso di Cerignola, che gradualmente discende verso un piccolo fazzoletto di 14 ettari dove impera uno degli aromatici più interessanti del Sud Italia, il Moscato di Trani. Villa Schinosa e Colle Petrito ne fanno la selezione della propria produzione. Poche migliaia di bottiglie che esaltano le caratteristiche di questo varietale. Si deve ai Conti Capece Minutolo, i proprietari di Villa Schinosa, il rilancio della coltivazione del Moscato di Trani, sono stati tra i promotori della Doc. Oggi firmano due etichette. Il Moscato di Trani Garbino Secco, l’annata assaggiata il 2008, coniuga il fruttato degli agrumi alla sapidità e ad un’acidità che rende questo vino, come consiglia la stessa produttrice Maria Capece Minutolo, ideale per il Sushi. Il Moscato di Trani Dolce Doc si libera della stucchevolezza del varietale e si carica invece dell’intensità delle note di mandorla e di agrumi e di una piacevole acidità.
Anche il Moscato di Colle Petrito, esprime con estrema freschezza ed eleganza le sfaccettature aromatiche di questo vitigno. Molto vellutato al palato, è firmato dall’enologo Pasquale Pastore. La Cantina di Minervino Murge è gestita da quattro produttori soci e lavora le uve di 30 viticultori conferitori della zona. Una realtà giovane di 160 ettari e di 300.000 bottiglie. Nella loro gamma di vini spicca il rosato da Bombino Nero, il Ferula Doc. Appena 10.000 bottiglie per questo vino equilibrato, gradevolissimo per le note di frutti di bosco e accattivante nel colore.
Con un numero, o meglio una formula, 0,618 Santa Lucia sintetizza la filosofia di produzione. La Riserva di Nero di Troia evoca il numero aureo in etichetta, la chiave da cui dipende l’armonia e il bello delle cose, della natura e dell’uomo stesso e del tempo. Perché Roberto Perrone Capano, il produttore, aspetta otto anni prima di metterlo in commercio. Sono solo 500 le bottiglie. Perla nera di una tenuta di 35 ettari che risale al 1628. Esemplare di una produzione impostata a “cru”. 0,618, di cui è stata degustata l’annata 2004, racconta infatti del Cru Castigliola. Appena un ettaro e mezzo a 300 metri d’altezza su terreno calcareo, dove i grappoli vengono raccolti a fine ottobre. Vivo e prorompente nei profumi. Elegantissimo al palato. Affina 18 mesi in botti di rovere francese proseguendo la sua evoluzione per sei anni in bottiglia. Affine è anche un’altra selezione della cantina, anche di questa ne vengono prodotte 5.000 bottiglie, la Riserva Le More. Una Doc Castel del Monte proveniente dallo stesso cru. Il 2008 è di grande struttura e concentrazione.
Manuela Laiacona