di Simone Cantoni
Sicilia: una regione che (come quasi tutte, peraltro, nella Penisola) è in realtà, in una, tante regioni diverse, benché confinanti e assemblate entro confini amministrativi comuni.
E perciò una terra caleidoscopicamente ricca di storia, cultura, arte, natura, vocazioni manifatturiere e, ovviamente anche alimentari. Tra queste ultime, le tipicità della gastronomia, spiccano numerose voci d’eccellenza, in termini sia di ingrediente sia di preparazione: vini certamente; poi ortaggi e verdure; il pesce e i frutti di mare con il loro repertorio culinario; le carni e la salumeria, con peculiarità quali l’utilizzo del cavallo e alcune specie suine. Ebbene, in questo paniere lussureggiante, mettiamo stavolta gli occhi sulle perle regalate dalla scuola casearia dell’isola; in particolare su tre specialità del suo “catalogo” – selezionate per noi dalla “Gastronomia Armetta” di Palermo – forse meno conosciute: ma non per questo di minor pregio, anzi, a nostro avviso ancor più interessanti proprio in quanto più nascoste al riparo della propria “nicchia”. Tre formaggi decisamente originali: su ciascuno dei quali si è proposto – nell’ambito dell’edizione 2022 di Beer Bubbles – l’abbinamento con una diversa birra artigianale italiana; ovvero quel “nuovo classico” nazionale che, in questo caso, va a braccetto con una tradizione consolidata.
CACIO DELLE MADONIE E BERLINER WEISSE
Corta dorsale montuosa della Sicilia settentrionale situata, a ovest dei Monti Nebrodi, entro i confini della provincia di Palermo, le Madonìe danno il battesimo a questo formaggio da mungitura mista di pecora e capra, prodotto e stagionato a Petralia Soprana dall’azienda agricola Petra. E l’abbinamento testato su questa prima portata è con una Berliner Weisse: nello specifico quella targata “Canediguerra” (ad Alessandria) e tarata sui 3,2 gradi alcolici. Il boccone, dalla consistenza medio-tenera, trova sulla sua strada una sorsata dalla corporatura parimenti leggera. Il gusto del formaggio, costruito su una base di rotondità lattea (di timbro grasso e dolce) sulla quale s’installa una curva acida discretamente pronunciata, vede “calare” sul suo tracciato la parallela acidità della Berliner: così, da un lato, il sovrapporsi delle due tendenze analoghe mette in atto il meccanismo della reciproca attenuazione armonica; mentre, dall’altro, la spinta tagliente della birra (sommata alla vivace bollicina) provvede a gestire il deposito lipidico della masticazione. Infine, la stessa acidità e la salivazione da essa stimolata, incentivano un flusso enzimatico utile a smorzare alcuni tratti (golosamente) unghiosi nell’aroma del caprino, di matrice affienata e, a tratti, fortemente animale.
TUMA PERSA
Prodotta sui Monti Sicani da un solo casaro e affinatore – Salvatore Passalacqua – a Castronovo di Sicilia (Palermo), la “Tuma persa” deve il suo nome alla lunga ed elaborata metodica di stagionatura: per cui le forme vanno, come dire, “dimenticate”. Si ottiene da latte vaccino, la cui derivante pasta caseosa, dopo la deposizione nelle forme, si lascia qui fermentare per una decina di giorni: così da generare lo sviluppo, sulla superficie esterna, di una microflora di muffe il cui metabolismo apporta i suoi precipui contributi gustolfattivi. Dopo questa prima fase di maturazione (e la successiva pulizia con acqua), ne segue una seconda, della medesima durata; quindi la salagione e l’eventuale “curatina”, cioè una cappatura con olio d’oliva e pepe macinato. Si è in presenza di un boccone a elevata densità sensoriale; alla quale il “bicchiere” in abbinamento deve rispondere con un impatto di pari vigore. Così si punta su una Tripel: quella, da 8 gradi e 2, firmata a quattro mani dal marchio “Alveria” (Canicattini Bagni, Siracusa) con i “Chianti Brew Fighters” (Radda in Chianti, Siena); e battezzata “Fra’ Junipero” in quanto brassata con l’aggiunta diretta di bacche di ginepro a fine bollitura del mosto. La consistenza del boccone, discretamente elevata, costringe la birra a sbuffare un po’ di fatica nel corpo a corpo “materiale”; ma lo svantaggio si colma quando la bollicina e l’alcolicità della sorsata massaggiano e sciolgono con disinvoltura la materia grassa del formaggio. Il cui gusto – dal sottofondo dolce, ma con tendenze lievemente acide e sapido, nonché segnato da una chiusura anche piccante e di qualche amaricatura – incontra une bevuta smussante, priva di parti dure passibili di andare in urto con quelle della “tuma”. Infine l’aromaticità di quest’ultima – articolata in temi varietali (latte cotto), tostati (anacardo, arachide), vegetale (papa lessa), e speziati (pepe, bacche di Timut, ginepro) – trova un aggancio assai ravvicinato nelle speculari speziature espresse dalla Tripel: non solo quelle garantite dall’ingrediente in conferimento diretto, ma anche le note di pepe bianco e noce moscata tipiche del lievito inoculato in fermentazione.
MAIORCHINO
Inserito nell’elenco dei PAT (Prodotto agroalimentare tradizionale) e presidio Sow Food, questa specialità tipica del Messinese rappresenta un autentico gioiellino. La cui lavorazione prevede l’impiego di latte crudo: ovino in massima parte, attorno al 60%, più un 20 a testa di caprino e vaccino; ma le proporzioni variano: l’edizione qui in assaggio – a firma dell’azienda agricola Mario Mirabile (Santa Lucia del Mela, Messina) – vede pecora e capra rappresentate entrambe al 50%. Poi la procedura contempla anche almeno due aspetti: la pressatura della pasta; e una lunga fase di stagionatura, fino a due anni. Con il suo atterraggio in tavola, nel “valzer” dell’abbinamento, cambiano le regole d’ingaggio; in modo tale da indurre a provare l’accostamento con una Belgian Golden Strong Ale, la “Sciscirì”, (8.5 gradi) della scuderia “Birra dei Vespri”, marchio esso stesso siciliano con base ad Altavilla Milicia (Palermo). Il formaggio, qui in versione stagionata 2 anni, presenta una compattezza di consistenza medio-elevata, alla quale risulta proporzionata la corporeità della bevuta; mentre il profilo abboccato di quest’ultima accarezza e asseconda le non poche spigolosità gustative del boccone: che, su un bordone di dolcezza lattea di natura lipidica, fa vibrare non solo e non tanto una lieve acidità, ma soprattutto una mordace sapidità e una vera e propria scudisciata di piccantezza. Infine l’aroma del Maiorchino – varietali (crema di latte e latte cotto), tratti minerale e fruttati (banana, mela), una diffusa nota tostata (cracker) – vede riprese e “prolungate” appunto le proprie componenti tostate dalle analoghe direttrici che il bicchiere esprime nel contesto delle proprie argomentazioni olfattive.
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