di Stefania Petrotta
Un lussureggiante prato, tavoli bassi con fioriere di erbe aromatiche incorporate, il tramonto che lascia campo alla volta stellata e dinanzi le altre sei isole dell’arcipelago delle Eolie.
Un sogno? No, semplicemente “I tenerumi”, ristorante vegetariano del Therasia Resort Sea & Spa di Vulcano, in provincia di Messina. D’altronde è tutta la struttura del Therasia che sembra far parte di un sogno. A descriverne l’esperienza si rischia di essere ripetitivi. Vengono in mente tramonti dai colori carichi quasi irreali, sagome di isole sullo sfondo, mare ovunque, perfino nelle vasche con cascatelle che ad esso conducono, piscina a sfioro sul cui bordo affacciarsi e piscine riscaldate ad idromassaggio, natura rigogliosa dominata da una popolazione di grusoni, piante grasse tondeggianti e spinose meglio conosciute, non a caso, come cuscini della suocera.
Qui tutto sembra perfetto e, se non lo è, ci si avvicina tantissimo, specie la proposta gastronomica: la colazione la mattina con i croissant sfogliati al burro e la focaccia al pomodoro del pastry chef Gianluca Colucci, le proposte gastronomiche supervisionate dallo chef Giuseppe Biuso che guida con determinazione ed estrema maturità la cucina del ristorante stellato “Il cappero”, i cocktail del bar gestito in maniera competente ed egregia da Piero Guarrella.
Ed è con queste immagini negli occhi che siamo tornati al ristorante “I tenerumi” dopo questi anni “pandemici”. Il ristorante è affidato alla maestria dello chef campano Davide Guidara che, ex enfant prodige, oggi è un cuoco dall’identità definita e dalla raggiunta maturità che realizzano le aspettative riposte in lui. In Sicilia, dopo essere passato per Milazzo e aver transitato per Catania, da un paio di anni, lo si può trovare felicemente “accasato” a Vulcano in questa dimensione che sembra gli sia stata cucita addosso.
Qui Guidara può infatti dare libero sfogo al suo estro, concentrarsi sui suoi studi e portare avanti i rapporti di confronto continuo che ha con (pochi, ci tiene a specificarlo) colleghi in giro per l’Italia. “Abbiamo una chat – racconta – nella quale ci si scambia scoperte e consigli. Gli altri miei colleghi al suo interno sono tutti stellati, io no e per questo mi prendono in giro bonariamente”, aggiunge sorridendo. E, mentre pensiamo che magari questo sfottò gli porterà fortuna, è sempre sorridente, probabilmente felice, che lo ammiriamo muoversi a proprio agio in questo contesto ambientale fiabesco e immersivo. Avevamo, infatti, già avuto modo di apprezzare la scelta della proprietà del Therasia di dedicare un ristorante al vegetarianismo, ma Guidara va oltre, spinge, esalta, sfida, in un susseguirsi di portate che nulla devono alla struttura canonica del menu, a cominciare proprio dal fatto che non vi è alcun menu, visto che la materia prima proviene dal proprio orto o dai pochi produttori di riferimento e la terra decide da sé cosa donare ogni giorno alla cucina. E l’abilità dello chef sta proprio nella sua adattabilità ai prodotti del giorno.
Certo, esiste una linea e naturalmente a seconda del protagonista del piatto viene proposto quello che già è stato sperimentato, eppure si intuisce che ogni volta quello stesso piatto non ricalca pedissequamente la versione precedente e, allo stesso modo, verrà limato e perfezionato in quella successiva. Come talvolta capita di leggere, la protagonista della cucina di Guidara è la materia prima, ma qui la si scopre in altre vesti, si crede di ritrovarsi nel piatto un ortaggio e se ne scopre un sapore inedito. E quindi protagonisti sono anche le tecniche di preparazione e, soprattutto, il racconto. Perché se c’è un valore aggiunto è proprio il modo in cui le portate vengono illustrate, minuziosamente, sapientemente, quasi golosamente, dal personale di sala che si accomoda al tavolo giusto il tempo della narrazione e, perché no, di uno scambio di battute. Le parole sono chiaramente quelle dello chef, ma i gesti, le espressioni e gli accenti sono quelli di Aristide Villani e Pierluigi Rifici che, in quanto abili narratori, riteniamo meritino che siano menzionati per nome. Accanto a loro, con delicatezza e discrezione, si inserisce Mirco Guastella che cura, insieme alla supervisione del sopra citato maestro Guarrella e naturalmente a quella dello chef, gli abbinamenti con cocktail appositamente pensati per accompagnare acidità e umami, affumicature e dolcezze. Abbinamenti, lasciateci dire, di una perfezione rara.
Noi siamo stati accolti da un’insalatina di ceci al limone accompagnata da maionese affumicata e santoreggia; carota al barbecue con aneto, cipolloto grigliato e maionese alla soia e capperi; olive sottolio di propria produzione.
Dopo il benvenuto è arrivato il primo drink in abbinamento alle successive due portate, un cordiale al timo limone preparato con un infuso di timo limone a cui è stato aggiunto un infuso di eucalipto, artemisia, citronella e gemme di pino.
Con esso sono stati serviti un freschissimo ed ottimo cetriolo marinato con crema di guacamole e cubetti di melone marinato con polvere di pomelo bruciato
e un cavolo trunzu fermentato con crema di rucola e finger lime.
Un mojito a base di kombucha alla menta con rum aromatizzato alle spezie siciliane
ha accompagnato la zucchina con crema di scapece, menta e aceto balsamico guarnita da un dressing all’aglio nero ossidato che arriva dall’alto ad arrotondare le punte di acidità dello scapece in un equilibrio perfetto.
È stato invece un tepache alla fragola con aggiunta, a fine fermentazione, di acqua di pomodoro chiarificata e guarnito da una foglia di malvarosa, che ha accompagnato il cuore di bue macerato con glassa di pomodoro concentrato, servito insieme a datterini cotti sotto la calce per tre ore, acqua di pomodoro, scalogno marinato alla soia e basilico greco. Uno degli abbinamenti drink/cibo più azzeccati per un piatto strepitoso.
A seguire, un margarita a base di tequila e kombucha alla salvia. La salvia così fermentata, oltre a restituire i sentori erbacei della foglia stessa, dona aromi citrici e minerali. Sulla bordatura, una polvere di sale, pepe nero, paprica affumicata, zenzero e una spezia a base di agrumi
che si combinava in maniera calzante con il peperone della portata successiva, macerato con crema di peperoni disidratata, per ottenere una maggiore concentrazione, e guarnito da chimichurri a base di capperi, prezzemolo e limone. Un solo commento: mamma mia.
Altro drink il cordiale alla banana preparato con banana cotta e leggermente fermentata, per bilanciarne la dolcezza, con aggiunta di soda alle foglie di fico.
Accompagnava il fagiolo cosaruciaru di Scicli accompagnato da un fondo ristretto di fagiolo e miso al pistacchio;
a seguire la lattuga fermentata nel latticello di capra accompagnata da maionese al masala e polvere di masala. Per inciso, una delle nostre portate preferite.
Poi il turno del cocktail al mezcal e kombucha di erba cedrina, una spezia simile alla citronella ma meno pungente e con sentore di tè, abbinato alle due portate successive:
radicchio macerato servito con una glassa al miele e “Ficu” dell’Azienda Agricola Montalbo, formaggio di capra girgentana il cui caglio è ottenuto dal lattice dei rametti della pianta; fungo cardoncello affumicato, macerato e grigliato, servito con una pasta concentrata di funghi, gambi di prezzemolo e olio alla paprica, accompagnato da un ragù di fungo cardoncello e gelato alla paprica.
Kombucha di rosmarino, anice stellato e buccia di arancia
per il seitan di timilia in salsa al pepe bianco, cipolla disidratata fritta e cedro.
Ultimo drink delle portate salate è un kombucha di menta piperita
abbinato alla patata arrosto con crema di patate e fondo ristretto di vino bianco e erba cipollina
Per quanto riguarda i dessert, abbiamo trovato perfettamente in linea con il menu e con la filosofia dello chef il porro marinato alla vaniglia glassato con lampone e servito con gelato al lampone e pepe nero.
Forse poco adatta per concludere il pasto, invece, la brioche con crema di cioccolato ossidato e gelato agli anacardi.
Infine, tra frutta marinata di vario genere e piccola pasticceria, merita menzione un’interessante melanzana ricoperta di cioccolato tipica del paese di Maiori, in costiera amalfitana.
Ad accompagnare i dolci, un drink a base di caffè con aggiunta di latte di cocco, latte di mandorla, Disaronno e liquore digestivo a base di buccia di mandarino: la coccola finale perfetta.
In conclusione, ecco ciò che abbiamo più gradito e quello che ci ha convinti meno.
Cosa ci ha conquistato: oltre alle portate del menu, che ci auguriamo siano ampliate in numero la prossima stagione, il fatto che il personale di sala si sieda a raccontare i piatti instaurando un rapporto conviviale con gli ospiti e creando un collegamento immediato tra immagine, parola e gusto.
Cosa rivedere: la proposta dolce che ci saremmo aspettati spinta come quella salata e, soprattutto, le sedute. Sebbene siano perfettamente calate nel contesto chic ma al contempo bucolico, sarebbe preferibile non dover continuamente aggiustare (o fare aggiustare, visto che il personale di sala interviene sempre prontamente) il cuscino su cui si sta seduti. Interrompe l’esperienza e fa stare lievemente a disagio in una situazione di fantozziana memoria. Sarebbe quindi preferibile sostituirli con delle sedute sempre basse e morbide, ma comode e stabili.