Interrogativi e bisogno di chiarezza, sulla viticoltura di Solopaca, area situata alle falde nord del massiccio Taburno Camposauro, passata nel 1861 dalla provincia di Terra di Lavoro alla neocostituita provincia di Benevento, hanno portato dopo circa cinque anni di ricerca, di studi ed approfondimenti da parte del progetto seguito dalla Regione Campania, il Crea e il Cnr alla redazione del volume intitolato: “Solopaca. Viticoltura di terroir e “uve rare” dal Taburno Camposauro alla costa tirrenica”, curato da Stefano Del Lungo, ricercatore Cnr Ispc. Si tratta di un lavoro che raccoglie i risultati di indagini pluriennali condotte sulla biodiversità viticola nei territori del Taburno Camposauro, della Penisola Sorrentina e del Golfo di Policastro. Con esso si vantano il recupero, l’approfondimento genetico-storico e la registrazione ufficiale di undici varietà (Tennecchia n. cioè Tentiglia, Tesola nera n. cioè Vernaccia di Vigna, Agostina b., Uva Urmo b., Cocozza b., Ingannapastore b., Castagnara n., Suppezza n., Sabato n., Reginella n., Racina piccola n.) e il riconoscimento della sinonimia Arulo, cioè Vernaccia d’Arulo, con il Grero o Greco nero di Todi, come hanno raccontato in dettaglio per l’occasione Vittorio Alba e Angelo R. Caputo, entrambi membri del Crea Ve.
Un lavoro teso a valorizzare quei particolari territori del nostro paese che, nonostante un passato ricco di tradizioni sono andati incontro, a partire dal Secondo Dopoguerra, a un progressivo e inarrestabile degrado. Una valorizzazione resa possibile grazie all’esame di una raccolta sistematica di tutte le fonti a disposizione, che ha portato al recupero dei vitigni autoctoni insieme agli antichi sistemi di lavorazione della vigna e delle modalità di produzione del vino.
L’obiettivo che si è posti è stato quello di recuperare l’identità viticola di Solopaca non solo attraverso il riconoscimento delle sue “uve rare”, ma anche attraverso il sistema paesaggio, che insieme a numerosi elaborati cartografici, aiutano a identificare i “luoghi di produzione” viticola delle Terre di Solopaca, a descriverne le caratteristiche fisico-ambientali, a raccontarne l’aspetto estetico. Presentato ieri a Roma presso la Sala Cavour del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, questo volume ha sicuramente messo a sistema delle importanti informazioni, diventando un punto di riferimento e un modello da perseguire per tutti coloro che vedono nel recupero delle tradizioni e nella cura del paesaggio la strada migliore per una corretta interazione del rapporto Uomo-Natura. Questa realtà beneventana, frequentata sin dalla Preistoria, coltivata dai Sanniti, apprezzata per la sua fertilità dai Romani, declamata come una terra dai diversi suoli ed il cui vino prodotto era molto apprezzato dai consumatori, fino al riconoscimento della Doc Solopaca avvenuto nel 1973, ha con il tempo subito un percorso di perdita e decrescita del suo splendore. Perché non si è tenuto conto delle “uve rare” prodotte e riconosciute qualitativamente eccellenti da secoli? Perché si è abbassata tanto la considerazione di queste terre?
Da questi interrogativi si è messo in moto un ingranaggio che ha portato sotto osservazione scientifica questo territorio, iniziando così un percorso di studi grazie a viticoltori desiderosi di ridare luce al capitale viticolo autoctono, messo a rischio dalla produzione in eccesso di varietà recenti, che è stato condotto nell’ambito del progetto di ricerca Biodiversità Agricola Storica, Vite e Olivo (Cnr Dus.Ad036) dall’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr Ispc) con il Centro di Viticoltura ed Enologia del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea Ve), in stretta sinergia con la Regione Campania e con l’associazione Ais Toscana – Delegazione di Grosseto, scelta come soggetto terzo super partes. In occasione della presentazione, Clemente Colella, membro dell’Associazione Vignaioli di Solopaca – vignaiolo e motore propulsivo di questa ricerca – ha infatti evidenziato come non solo queste “uve rare”, ma anche tecniche colturali del passato, quali la raggiera, creavano un sistema economico funzionale. Da qui il desiderio di non disperdere questo passato, con la speranza di aver restituito alle nuove generazioni, attraverso questo lavoro di ricerca, quella memoria che è orgoglio di appartenenza e strumento per costruire un futuro da protagonisti in casa propria e non come “incognite meteore in terra altrui”.
Ogni territorio è in realtà custode di un tesoro fatto di terra, piante, persone e cultura, che può essere recuperato con l’impegno di tutti. Da qui l’importanza del territorio con la sua estensione al concetto di Terroir, che secondo una definizione proposta dalla Organisation Internationale de la Vigne et du Vin (Oiv, 2010) “rappresenta un concetto riferito ad un’area nella quale si sviluppa un sapere collettivo delle interazioni tra ambiente fisico, ambiente biologico e pratiche vitivinicole, che conferiscono le caratteristiche distintive ai prodotti provenienti da quest’area. Il terroir include le caratteristiche specifiche del suolo, della topografia, del paesaggio e della biodiversità”. Fino ad arrivare ad un’ottica di viticoltura di terroir, come ha sottolineato Antonio Leone, ricercatore del Cnr IsaFoM, che ha affrontato il tema del paesaggio del vino delle Terre di Solopaca, dove: “Tutti gli elementi fisico-ambientali presi in esame necessitano di essere complessivamente considerati, per arrivare alla suddivisione del territorio in ambiti omogenei dal punto di vista degli stessi fattori. Tale suddivisione costituisce la base essenziale per la razionale gestione agrotecnica e la differenziazione produttiva delle uve e dei vini nel territorio viticolo di Solopaca. La nostra percezione di paesaggio è certamente influenzata dalla nostra cultura e dalla nostra stessa sensibilità e, in questo caso, dall’immagine che noi abbiamo del vino. Allo stesso modo, la degustazione di un vino, la percezione del suo sapore e dei suoi colori sono fenomeni fisiologici, tuttavia molto condizionati dalla dimensione culturale. È quindi possibile che l’immagine che noi abbiamo o che ci viene mostrata di un paesaggio possa giocare un ruolo rilevante sull’apprezzamento del vino”.
Altro aspetto fondamentale per l’indagine è stato il materiale “umano”, ossia tutte le testimonianze vive del territorio; gli anziani viticoltori di Solopaca e degli altri territori indagati che hanno conservato e permesso di individuare di nuovo le varietà rare trattate nel volume. Come è stato più volte ricordato durante la presentazione dal curatore Stefano del Lungo: “Una via per contribuire a dare un futuro ai territori rurali sta innanzitutto nel fornire alle comunità gli strumenti necessari per tornare a riconoscere le proprie peculiarità produttive tradizionali, senza dover prendere alcunché in prestito da altre realtà, vicine o lontane”. Dalla tradizione si trae anche il repertorio delle azioni indispensabili per condurre una coltura in equilibrio fra qualità, conservazione dei suoli, disponibilità di acqua, variazioni termiche stagionali, peculiarità, esigenze ambientali e vulnerabilità delle piante.
Una ricerca che per il suo carattere multidisciplinare in ambito biologico, agronomico, enologico e culturale, ha diverse prospettive future, quali il poter recuperare principi e modalità che hanno consentito di coltivare superfici esposte al pericolo di alluvioni e di erosione mettendole in sicurezza e riducendo al minimo la perdita di suolo utile; comprendere e approfondire il valore di queste “uve” e delle specie consociate; e capire, conoscere e diffondere i pregi di una forma di allevamento della vite ora tanto particolare, ma in passato una delle prevalenti del paesaggio rurale della Campania, con riscontro nella scultura e nelle rappresentazioni pittoriche antiche con scene di vendemmia. Inoltre come descritto nel testo: “La natura e l’agricoltura vanno infatti intese come fenomeno di mutazione sociale dell’essere umano e come addomesticamento delle piante, pur nella loro essenzialità vitale alla sopravvivenza delle comunità e negli sguardi tecnici e scientifici che le hanno viste protagoniste di importanti trattati storici, non sono state sempre accolte dal mondo culturale come parte integrante di esso”. Con i risultati raggiunti dalla ricerca si propongono nuove soluzioni per contrastare la perdita di biodiversità viticola e di identità, favorendo una transizione verde e sostenibile.
A partire da questa pubblicazione, prenderà il via la sperimentazione delle uve e della tecnica della raggiera, con l’obiettivo di preservare il paesaggio viticolo e di supportare i viticoltori nella commercializzazione dei vini tradizionali, valorizzando il patrimonio viticolo secolare dei territori coinvolti. Come affermato dai viticoltori e dai partner della ricerca, ogni risultato ottenuto sarà un successo dal punto di vista scientifico ed etico, introducendo un modello operativo inclusivo e sostenibile.