di Simone Cantoni
“Ditelo con i fiori”, recitava una pubblicità televisiva degli anni ’70.
“Mettete dei fiori nei vostri cannoni”, invitava, già alla fine del decennio precedente, un brano de “I Giganti”. Detto che entrambe le esortazioni restano interamente valide, il suggerimento di affidarsi alle virtù di petali, bulbi e boccioli lo facciamo nostro trasferendolo anche sul fronte operativo della gastronomia e, in particolare, dell’abbinamento in tavola con la birra. Una “sfida” curiosa e dai risvolti in parte poco prevedibili: se non altro perché non è scontata la consapevolezza di come alcuni ingredienti comunemente utilizzati “ai fornelli” costituiscano, appunto, specifiche parti di una pianta. E dunque un terreno sperimentale tanto più accattivante: con il quale ci si è cimentati nel corso di una serata a tema organizzata a Livorno, nei propri locali, dal “Doctor B”: un brewpub (impianto di produzione con annesso spazio di somministrazione) dotato di una cucina ben attrezzata, sia in strumenti di lavoro sia in estro e fantasia del personale “manovratore”.
CARNE, FIORI DI ZUCCA E CAPPERI
Come “apertura” s’impiatta una battuta al coltello di carne bovina, piuttosto magra ma ammorbidita colandovi della stracciata di bufala; guarnita con capperi (botanicamente si tratta di boccioli); accompagnata da un contorno di fiori di zucca leggermente pastellati e fritti. Il boccone, equipaggiato con una buona scorta di materia grassa (il formaggio, l’olio di cottura…), chiede una sorsata capace di gestire quel carico lipidico: attraverso funzioni come alcol, bollicina, acidità, eventualmente tannicità. Tutte prerogative presenti nella “Degged”, la Italian Grape Lager (da 5.6 gradi) che lo stesso “Doctor B” produce integrando il mosto di cereali con uno (al 15%) di Vermentino. La birra peraltro, con la sua appena citata acidulità si sovrappone, in attenuazione armonizzante, con quella del piatto, dovuta al latticino e agli stessi capperi. L’antipasto, infine, con la sua sapidità, non trova nella bevuta provocazioni da parte di alcun tipo di amaricatura: giacché a questo tema sensoriale la “Degged” rinuncia consapevolmente. Buona la prima, insomma…
IL RISOTTO AI CARCIOFI
Il primo piatto cambia decisamente registro organolettico. Si tratta di un risotto ai carciofi: essi stessi dei boccioli, in termini botanici. In particolare, il riso (cotto aggiungendo come lubrificante un brodo vegetale preparato a sua volta con l’ortaggio-cardine della ricetta), viene amalgamato con scamorza (una dose oculata) e prosciutto cotto a cubetti; per poi essere gratinato brevemente in forno. Il boccone, la cui sapidità risulta particolarmente bassa (anche grazie alla mano delicata della cucina e alle virtù attenuative di amidi e grassi in circolo), vive principalmente dell’amaricatura erbacea apportata proprio dal carciofo. Una “tinteggiatura” gustolfattiva il compito di riprendere la quale è affidato alla “Ippi”, la Pils della casa, leggera (4.5 i gradi) ma di grande densità sensoriale. In specie, appunto, nel taglio “bitter”, il quale però (specularmente a quanto rilevato in ordine al primo abbinamento), pur essendo deciso ed esuberante, non vede la sua strada attraversata da sapidità potenzialmente conflittuali, essendo il piatto, come sottolineato, particolarmente cauto in fatto di… cloruro di sodio.
CONIGLIO E PURÈ AI CHIODI DI GAROFANO
La terza tappa è appannaggio della “ciccia”. Nello specifico, un coniglio in salmì… Ovviamente in declinazione fortemente personalizzata. La carne, disossata, viene marinata nella birra (la medesima proposta in abbinamento), quindi cotta in padella con i “suoi” fegatini e una manciata di chiodi di garofano (altri boccioli, nella tassonomia vegetale), irrorando il processo con brodo vegetale. Al momento dello “sbarco” in tavola, poi, si aggiunge un contorno di patate in purea, preparate a loro volta con chiodi di garofano. Premettiamo che il fiore-cardine della ricetta (in ottemperanza al principio dell’allineamento olfattivo tra morso e sorso) avrebbe potuto ben orientare la scelta della tipologia da affiancare a questo secondo piatto verso soluzioni quali quelle di stili aventi essi stessi una più o meno nitida nota di “chiodo” nel rispettivo bagaglio aromatico: Weizen, Weizenbock, Tripel, Belgian Strong Ale, Dubbelwit… La preoccupazione prioritaria, tuttavia, è, di nuovo in questo caso come nel primo, quella di non molestare la sapidità del coniglio con la turbativa di una bevuta significativamente amaricata. Ecco allora l’opzione-Helles Bock: la “Mygym” che il “Doctor B” forgia secondo un progetto di rotondità e ammiccata dolcezza, calando in supplemento il “carico da 11” di una gradazione attestata sul robusto valore di quota 7. Insomma, “tutti i salmi finiscono in gloria”: e talvolta anche i salmì…
DOCTOR B
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