Le Marche? L’Italia in una regione. Si moltiplicano gli esempi di linguaggi promozionali innovativi sul modello de “La Sicilia? un arcipelago nell’isola” pensati entrambi come perifrasi per decantare un’ eclettica caratteristica enologica.
A ispirare il primo di questi nuovi frizzi è stato l’Imt, l’ Istituto Marchigiano di Tutela dei vini presieduto da Gianfranco Garofoli e diretto da Alberto Mazzoni. Giovane ente nato nel 1999, che oggi può contare su oltre 1.060 viticoltori associati delle province di Ancona, Macerata, Pesaro-Urbino. I quali rappresentano il 45% della superficie vitata regionale con circa 9 mila ettari, mille, e forse più, aziende produttrici con 200 tra queste anche imbottigliatrici. Oltre al 90% dell’export. La nuova realtà si è concepita da un’ “inseminazione” di una grossa convergenza inoculata tra impresa privata, impresa cooperativa e mondo politico. Il progetto che ne è nato si è avvitato al raggiungimento di un prioritario obiettivo: creare degli incentivi affinché i giovani non abbandonassero l’agricoltura, mettessero in atto un cambio generazionale, raccogliessero, e non disperdere, quella cospicua opportunità delle ricchezze catastali dei padri e nonni e farsi investire della titolarità dei patrimoni ampelografici, altrimenti, e più chiaramente, detti, dei vigneti al fine di trarne tutti i possibili effetti positivi.
Così oggi, arrivando al dunque, le Marche non solo possono rappresentare degnamente, e compiutamente, l’intera nazione, grazie alle ricchezza di una gamma di proposte, ma vivere un rinascimento enologico ormai alla vista di tutto il mondo. Che suscita interesse, attizzante curiosità, sinceri quanto lusinghieri apprezzamenti. Il progetto si è articolato su tre punti cardine: disossidare dalla ruggine il legame tra il vecchio e i nuovo; riaprire il dialogo e la fattiva collaborazione tra i viticoltori al fine di raggiungere obiettivi comuni; abolire il bieco campanilismo che animava la totalità dei produttori, e mettere in campo una squadra incoraggiata da obbiettivi comuni.
“Ma i buoni propositi, non sarebbero bastati senza un cospicuo fondo d’investimento – puntualizza il direttore Alberto Mazzoni – così abbiamo raccolto e investito 8.8 milioni di euro di cui 3,5 attinte dalle casse dei produttori gli altri dalla Regione e dai fondi europei. Con un’idea precisa di come spendere, e non disperdere, queste cospicue risorse. Incentivare i giovani con un contributo del 50% per avviare un’azienda agricola, promuovere e investire somme significative comunicando bene non i vini ma il brand “Marche. In questo ha creduto la Regione e il suo vicepresidente Paolo Petrini. E in versione corale, e in tutte le tonalità, ci siamo mossi scrivendo, e sottoscrivendo, uno spartito punteggiato di note e di unità d’intenti”.
Alberto Mazzoni
Paolo Petrini
“Brand Marche” vuol dire soprattutto vitigni autoctoni, scritto con le iniziali maiuscole. Perché l’autoctono, o tradizionale come amano dire i puristi, per i marchigiani, è una fede fondamentalista. Sfogliando i cataloghi delle loro produzioni scorgiamo infatti che “solo” un 15% di alloctono (Cabernet, Merlot, Chardonnay ecc.) ha trovato asilo politico in questa regione. E non è una forma di razzismo, ma una sana e consapevole interpretazione del proprio territorio, arma micidiale per comunicare al mondo la peculiarità del suo , ma anche di ogni territorio. D’altronde in fatto di comunicazione originale i marchigiani sono stati sempre dei veri maestri. A farla, in particolare, col loro Verdicchio, uno dei vini più conosciuti al mondo sia per la sua espressione che per una qualità che si è moltiplicata nel tempo. Ma soprattutto per una bizzarra e riuscitissima operazione di marketing: quella di divulgarlo in una originale e inconfondibile anforetta. Firmata: Fazi Battaglia.
Alle “Olimpiadi dei Verdicchi” il ruolo di portabandiera oggi spetterebbe all’azienda Garofoli e al suo premiatissimo Verdicchio dei Castelli di Jesi doc Classico superiore “Podium”. Ma i riconoscimenti individuali, i segni distintivi, le classifiche non appartengono all’animo marchigiano, come i risultati e i successi di squadra stanno dimostrando. Una ventina sono le Doc di questa regione di cui cinque si fregiano di quella letterina in più che distinguono le Docg. Una di queste che abbiamo degustato in occasione del Congresso nazionale Assoenologi di cui le Marche sono state uno degli sponsor è l’ «Offida» Docg Pecorino (vitigno tradizionale marchigiano) della Cantina dei Colli ripani di Ripatransone. Un vino di potenza, fittezza e suadenza. E una definizione di fragranza di definizione che mettono in luce un’enologia di alto lignaggio.
Tra i più cliccati il “Lacrima di Morro D’Alba” Superiore 2010 dell’az. Mario Lucchetti; “ Rosso Piceno Superiore” Tenuta De Angelis di Castel di Lama; Azienda Agricola Vicari Nazzareno & Vico di Morro d’Alba, Az. Ag. Roberto Venturi di Castelleone di Suasa (An).
Stefano Gurrera