(I vini in degustazione)
di Michele Pizzillo
Come le fiabe di una volta? Perché no? C’è un signore convinto di produrre un particolare ed ottimo Amarone della Valpolicella. Ma, è sempre assillato dai dubbi: è vero?
Ad un certo punto cerca il confronto con qualcuno di “mente libera”, nel senso che se c’è da contraddire, lo deve fare. Che fa, allora? Si ricorda di uno di quegli esperti che non fa sconti a nessuno. Lo cerca e i due – Paolo Fontana, amministratore delegato del Gruppo SalvaTerra di San Pietro in Cariano e il sommelier-principe Luca Gardini – decidono di vedersi per valutare la possibilità di organizzare una degustazione. Viene fuori una nuova idea, a Gardini, che dice “Perché non facciamo qualcosa di diverso che so, un confronto Amarone-mondo? Chiamiamo quattro gatti e li costringiamo ad adeguarsi al motto di in vino veritas?” Geniale.
A Gardini, ovviamente, il compito di individuare i quattro campioni della squadra del mondo: Henschke Keyneton Estate 2003 Red Blend, Barossa; Clos de l’Oratoire des Papes Chateauneuf du Pape 2014; Pahlmeyer Jayson 2014 Red wine Napa County; Terroir al Limit Arbossar 2014 Priorat Red Wine. “Cavie”: “quattro gatti” è il caso di dire, che oltre a degustare per giudicare, appena possono degustano pure per piacere. Location per il confronto? Due tavoli da sette posti nell’ovattato Vun, il ristorante del lussuoso Park Hyatt hotel in Galleria, a Milano, e Andrea Aprea con la “sua cucina contemporanea che guarda al futuro senza mai dimenticare le sue origini” per accompagnare quelli che si confermeranno fra i grandi della terra.
(Luca Gardini)
Proviamo a raccontare questa esperienza.
Intanto Gardini che rivela il metodo che ha seguito nella scelta dei vini da confrontare con l’Amarone, riconoscendo a Fontana il coraggio di aver accettato l’azzardo. Che, dice: “Non potevamo tirarci indietro, anche perché abbiamo intrapreso un percorso nuovo per l’Amarone di tenuta”. E che tenuta, visto che a SalvaTerra appartiene la “Tenuta di Prun”, a Negrar, in uno dei vigneti più alti della Valpolicella, a 550 metri sul livello del mare, dove si trovano anche le famose cave di pietra utilizzate per la costruzione dell’Arena di Verona: qui la terra è rossa scagliosa, separata dalla pietra da uno strato di marna. In un impianto a guyot di 5.640 ceppi per ettaro, vengono coltivati i vitigni Corvina, Corvinone, Rondinella, Teroldego, Molinara. Poi l’enologo Beppe Caviola che racconta la sua politica di sottrazione, condivisa da Fontana, per arrivare ad un Amarone bevibile perché meno concentrato e con minor soggiorno nelle barrique. Dal confronto è emerso che questo è un Amarone “che invoglia a svuotare la bottiglia” (commento di Enzo Vizzari). Uno dei limiti del grande rosso veronese, infatti, è quello di vedere nei ristoranti bottiglie completamente vuote, a differenza di questo (testimonianza di Paolo Massobrio). Qualcosa vorrà dire, o no? E bravo Gardini nel provare a farlo con il resto del mondo, soddisfatto che tutti hanno ritenuto l’idea quella giusta da perseguire per la grande enologia italiana. Attenzione, però, a darsi un metodo, in questi confronti. L’enologo è partito dal concetto che ogni zona ha un personale timbro cromatico e, quindi, se si decide di fare il confronto, bisognerà trovare qualcosa in comune nei vini scelti. Nell’Amarone contro il mondo, a fare da collegamento il colore quasi identico oltre ai toni selvatici che sono emersi in tutti e cinque i vini.
(Paolo Fontana)
Questo il risultato.
Unanimità sulla qualità di Chateauneuf du Pape e, quindi, non è il caso di ripetere le solite parole elogiative.
Ottimo anche il californiano di Pahlmeyer Jayson che ha evidenziato un tannino vivo e teso che è sembrato una sorta di allungamento del selvatico che avrebbe portato per mano Gardini nella scelta dei vini da degustare. Un vino che ancora fresco e piacevole.
Una rivelazione l’australiano Barossa che a 14 anni dalla vendemmia rivela una grande giovinezza sostenuta da freschezza e dalla consapevolezza che ha davanti un lungo percorso prima di mostrare qualche cedimento delle sue peculiarità. Aggiunge Gardini: è il frutto della vendemmia fresca australiana.
Più accesa la discussione sullo spagnolo Priorat che non ha molto convito i “quattro gatti” invitati al confronto. Probabilmente è la nota metallica che si avverte al primo impatto a penalizzare il vino. Ma è una caratteristica della zona, spiega Gardini, dove il sole provoca una sorta di effetto metallico sulle vigne. Il vino, però, è molto interessante.
E chi ha provocato tutto questo, come ne esce dal confronto? Basta una considerazione. Abbiamo notato che i “quattro gatti” non si sono per niente trattenuti nel portare alla bocca il calice che conteneva l’Amarone della Valpolicella 2010 Classico di SalvaTerra, per la sua grande complessità e l’eleganza che caratterizza i grandi vini. Eppure è un vino appena imbottigliato, immaginate cosa sarà capace di esprimere fra qualche mese. Certamente “l'essenza del territorio” della Valpolicella, senza eccedere nel residuo zuccherino e poi l’accentuazione delle tipiche note di ciliegia e di ribes nero, esaltate anche dall’appassimento naturale delle uve in fruttato per 3-4 mesi, con un calo del peso superiore al 30% e, infine, l’affinamento dell’80% in legno per 36 mesi di cui 2/3 in barrique americane e francesi – metà di 2° e 3° passaggio -, 1/3 in botti grandi e il 20% in acciaio.
Che si può dire? Lasciamo fare a Gardini: “Bravo, Paolo, per aver accetto l’azzardato del confronto”.
Adesso l’amministratore delegato di SalvaTerra, può dire che il nuovo percorso intrapreso per l’Amarone, è quello giusto. E, stiamo parlando di un’azienda che controlla 700 ettari di vigne di cui 500 nella Valpolicella classica. Un progetto che nasce nel 2014 dall’incontro della famiglia Furia, fortemente radicata nel territorio veronese come produttore da più di 30 anni, e un gruppo di imprenditori che, credendo nel progetto di crescita legato ad un territorio e ad un vino tra i più straordinari in Italia, hanno messo a disposizione le loro competenze, risorse ed esperienze per contribuire al successo di questa sfida. Infatti, l’obiettivo di Tenute SalvaTerra è valorizzare i propri vigneti e i suoi vini, legando il marchio all’identità di un’area, la Valpolicella, dalle innumerevoli potenzialità e risorse, spiega Fontana. Che, aggiunge: “La nostra ambizione è produrre vini che riescano ad esprimere la tipicità e riconoscibilità delle uve autoctone della Valpolicella, valorizzando il legame vigneto-vino anche attraverso il recupero di antiche vigne che crescono in territori estremi. Salvaguardare il territorio significa anche tutelare il paesaggio con una viticoltura ragionata, difficile quanto affascinante”. Oltretutto nelle Tenute SalvaTerra si trovano 3 tra i cru più vocati della Valpolicella: Villa Giona, Prun e Mezzane. Peculiarità comune delle diverse aree, oltre all’esposizione, è che i vigneti crescono su terreni ricchi di marna, una roccia di origine marina che costituisce un habitat di irrigazione naturale che rende questi vigneti “unici”.
In più, Tenute SalvaTerra è una realtà unica nel suo genere, originata da un’unione di passioni, capace di integrare il “saper fare” del mondo dell’enologia e le capacità e le conoscenze del mondo della finanza. All’esperienza della famiglia Furia si unisce la componente più innovativa, rappresentata dal Club Deal, gruppo d’investitori che oltre al capitale mette a disposizione le diverse competenze ed esperienze per costruire un progetto di successo. Esempio, l’Amarone della Valpolicella 2010 Classico che è affiancato da Valpolicella ripasso doc classico superiore, Lazzarone rosso delle Venezie igt, Pinot Grigio delle Venezie igt e Prosecco doc. La produzione di vini è, attualmente, a quota 2 milioni di bottiglie, di cui il 95% esportato.