di Titti Casiello
“Io produco Barolo classico” ed è con queste parole che si apre la stagione invernale degli eventi della Banca del vino di Pollenzo, ospitata nella sede campana del Mavv (Museo dell’Arte del Vino e della Vite) di Portici.
Si apre, cioè, con un’ affermazione di appena 4 parole in cui, in ordine sparso, si ritrova: un pezzo di storia della Langa del vino; una controtendenza al mondo attuale della Langa del vino; una presa di coscienza e di posizione di un produttore di vino delle Langhe. E le spiegazioni a queste tre affermazioni, potrebbero essere, invece, in ordine di comparazione: La tradizione del passato di produrre Barolo classico, cioè frutto dell’assemblaggio di uve provenienti da diverse vigne. In uno stile dalle lunghe macerazioni e dall’affinamento in botti grandi; le menzioni geografiche aggiuntive (Mga) hanno creato un appeal commerciale così forte che oggi il Barolo da singola vigna, a fronte del Barolo da assemblaggio, è uno dei vini italiani maggiormente venduti al mondo; a produrre un Barolo classico è Mario Fontana dell’azienda Cascina Fontana in quel di Castiglione Falletto, uno dei 14 comuni rientranti nell’area di produzione del Barolo.
“Ho sempre fatto il vino come lo faceva mio nonno Saverio, unendo le migliori uve dei miei vigneti e così rinunciando al brand del cru”. Ebbene in questa scelta, a ben vedere, però, non ci sono né vinti né vincitori. Perché è, infatti, indiscutibile che la natura abbia donato a vigneti come Vignarionda connotazioni auree così tanto paradisiache che sarebbe, davvero, da folli non garantire che questa purezza assoluta non venga, poi, assicurata, tutta, nei tanto desiderati 75 centilitri di vetro. Come è agli atti della storia, d’altronde, che personaggi postbellici come Bruno Giacosa o Aldo Conterno abbiano visto nei cru la conferma dei loro grandi vini. Eppure, però, è altrettanto vero e noto che tra i molossi del vino langarolo, di stampo tradizionale, figurano personaggi come Bartolo Mascarello e Giuseppe Rinaldi che ancora oggi, con le attuali generazioni familiari, difendono, fino all’ultimo acino, il vino da assemblaggio. Dunque chi avrà mai ragione? Nessuno. Semplicemente di ragioni ne esistono due. E tutto ciò induce, allora a pensare che le teorie assolutistiche, soprattutto in Langa, risultano pressoché fuorvianti.
Basterà, quindi, solo affermare che Mario Fontana appartiene a quella vecchia generazione che ha sempre ritenuto che la somma ultima della bellezza sia data da un’addizione di elementi e che i suoi Barolo rappresentano la sinergia delle diverse vigne piuttosto che l’esaltazione della singola. “Sono partito nel ‘92 con l’eredità di mio nonno Saverio: tre ettari di vigna a Castiglione Falletto. Lui mi diceva sempre: gli esperimenti lasciali fare agli altri. E io ho sempre fatto così. Li ho lasciati fare agli altri e ho tenuto per me la custodia della tradizione”. E a pensarci bene, quegli (gli anni ’90) non erano di certo tempi facili per prendere una decisione del genere. La lista delle tentazioni era lunga e ghiotta: Marco De Grazia e i suoi Barolo Boys avevano calato un’aurea magica sulla Langa grazie a quello stile innovativo ed internazionale (dalla macerazioni meno prolungate e dagli affinamenti in barrique) che era diventato la chiave di volta per la vendita del Barolo soprattutto all’estero. “Io, però, non ho mai voluto cambiare registro invece, né tantomeno stile di produzione del vino. E così nel ’94, dopo aver seguito le orme di mio nonno e per alcuni anni quelle di mio padre, ho deciso di seguire da solo la mia strada, trasferendo la cantina a Perno, una piccola frazione del comune di Monforte d’Alba. Dopo poco, poi, ho sposato Luisa che ha portato in dote la vigna Gallinotto situata a La Morra. Ma non lo sapevo quando le ho chiesto di sposarmi. E nel 2000, poi, ho acquistato, da mio cugino Armando, la Vigna del Castello, a Sinio. Fuori dall’area di produzione del Barolo”. Oggi l’azienda vanta, in totale, 5 ettari dislocati tra il comune di Castiglione Falletto (vigna Valletti/cru Mariondino, vigna Villero/cru Villero e vigna del Pozzo) il comune di La Morra (vigna Gallinotto/cru Giachini) e quello di Sinio (vigna del Castello). Località queste che al dl là della complessa classificazione formale delle M.G.A., esistono da sempre, e da sempre, per legge non scritta, sono riconosciute come zone particolarmente vocate per la viticoltura. Da questi vigneti Cascina Fontana produce 5 referenze: un Dolcetto d’Alba, un Barbera d’Alba, un Langhe Nebbiolo, un Barolo e un Barolo di Castiglione Falletto.
La degustazione
Barolo Docg 2018
Il Barolo proviene da tre diverse vigne: due a Castiglione Falletto (Villero e Valletti) e uno a La Morra (Gallinotto). Ogni vigneto è vinificato separatamente e l’assemblaggio avviene poco alla volta già in fase di macerazione. “Non puoi mettere tre galli in un unico pollaio nello stesso momento”. Il 2018 è la delicatezza olfattiva di una rosa e la vivacità vegetale che anticipa una trama tannica fitta e una linea di calore che riscalda il palato. Mentre una morbidezza, pacata, si unisce in un buon rapporto acido-sapido. Il vino è perfetto, nulla da dire. Ma, sarà complice l’annata, il calice si presenta leggibile e stranamente immediato per un Barolo. Il tempo ci darà, poi, le sue letture reali.
Barolo Docg 2017
Qui preme una precisazione, perché per quanto si tratti di assemblaggio, esiste assemblaggio ed assemblaggio e non è facile capire quanto e cosa assemblare. Soprattutto in un’annata come la 2017, calda e siccitosa. Arida, così tanto che l’idea dell’eleganza di un Barolo potrebbe andare a farsi friggere. Ma così non è in questo Barolo floreale con infusioni di carcadè e te rooibos. In un sorso quasi masticabile al centro bocca tra la freschezza e la croccantezza di un frutto. E allora ecco che, forse, è proprio in annate come questa, che l’idea di un Barolo classico trova la sua esatta connotazione. Assemblare equivale a dire prendere il meglio e in questo Barolo quello che c’è da osservare è che l’interpretazione umana ( in questo caso di Mario Fontana) è stata indispensabile per produrre, anche in un’annata come la 2017, un vino davvero chiamato “Barolo”.
Barolo Docg 2016
Essenziale. Lineare. Asciutto. Diretto. Pragmatico. Notevole. Completo. Introspettivo. Riflessivo. Introverso. Quando si dice che a parlare è il vino. E questo calice ha così mirabilmente parlato.
Barolo Castiglione Falletto Docg 2013
La 2013 è stata la prima annata di questo Barolo, le cui uve provengono unicamente dal comune di Castiglione Falletto e precisamente da vigna Villero e da vigna Valletti. Per la prima volta Mario, quindi, rivendica una Menzione, ma non quella di una singola vigna, ma solo quella comunale, appunto di Castiglione Falletto. E questo è il Barolo che dà del lei e che vuole del lei. Quindi è esattamente un Barolo. Con la sua frutta scura, quasi violacea che fa de preludio ad un sorso dalla texture sottile e profonda. La complessità del sorso sa giocare, in ogni caso, in verticale e la ricchezza gustativa si mostra, poi, tutta in retronasale tra note di arancia sanguinella e elementi sapidi. Chiude mantenendo quasi le distanze dal degustatore, senza mai concedersi completamente. Ed è forse questa la sua più grande dote.
Barolo 1971
“Vini così non esistono più, e questa era l’annata preferita di mio nonno Saverio”. E così stando in silenzio e aspettando che le molecole dell’anima di chi l’ha prodotto si ricongiungano nell’etere, il vino si mostra impressionante per integrità, profondità ed equilibrio. Le descrizioni risulterebbero futili, questo vino effettivamente non esiste più, ma l’anima di Saverio continua a viaggiare nei meandri eleganti dei vini di suo nipote Mario.