Era datato 1993 quel decreto ministeriale che approvava la prima Denominazione di origine controllata e garantita del Sud Italia. Si chiamava Taurasi e per dieci anni è stata anche l’unica, fino all’avvento nel 2003 delle due bianchiste Fiano di Avellino e Greco di Tufo. Duemilaventitrè e siamo al suo trentesimo compleanno. E pare giusto allora festeggiarlo con una verticale storica di un’azienda simbolo come quella di Michele Perillo e dei suoi figli. A “Casa Martino – Pane e Cucina” di Frattamaggiore – in provincia di Napoli – i festeggiamenti iniziano con un viaggio a ritroso che dalle en primeur annata 2012 – per il Taurasi – e 2011- per il Taurasi Riserva – ravvivano i meandri del passato arrivando fino all’iconico 2007.
Di quegli anni ‘90, però, Michele Perillo pare portare sulle spalle solo gli anni che passano e la proprie personali scelte enoiche. I suoi vini, elogio alla lentezza e al saper aspettare, non hanno, infatti, mai visto quei soli canonici tre anni previsti dal disciplinare per il Taurasi o quattro per la Riserva prima della messa in commercio. Quegli anni al più servivano (e servono ancora) a Michele solo per decidere la disposizione in cantina delle bottiglie. Perché nella fretta generale del mercato, del presto che è tardi, per Perillo quel tempo ha sempre rappresentato solo il preludio di una lunga custodia nella sua cantina situata nella parte più a sud dell’Irpinia. E’ quella parte dove il letto del fiume Calore divide i pendii collinari dei due piccoli centri abitati di Castelfranci e Montemarano. Entrambi luoghi di elezione delle sue vecchie vigne. “La più antica è quella dietro casa. E’ stata piantata oltre cento anni fa” dice Felice, il figlio che oggi, insieme con suo fratello Nicola, porta avanti il credo della longevità del Taurasi come papà Michele docet.
Sarà pur vero che l’Aglianico “non è doce di sale” come si dice in Campania, ma non è impossibile addomesticarlo. E i vini di Perillo lo dimostrano, in una chiave di volta che pare essere tutta in un lungo, lunghissimo affinamento in bottiglia. La misura del tempo in quella casa è, infatti, tarata a non meno di un decennio dalla vendemmia, e la riprova arriva con la 2012 che solo tra pochi mesi sarà in distribuzione. Ma prima del tempo, però, c’è anche il saper fare. Il frutto non cade dall’albero se non lo si sa coltivare. “Ho studiato enologia per non fare l’enologo”, dice sorridendo Felice. Che trascorre le sue giornate tra i 10 ettari di vigna allevate quasi interamente secondo il sistema tradizionale a raggiera e di cui molte ancora a piede franco. “Papà aveva scelto quattro, cinque piante nella nostra vigna più vecchia, era un particolare clone di Aglianico (il biotipo coda di cavallo) con un grappolo più spargolo e dalla maturazione ancora più tardiva”. E oggi tutte le vigne dell’azienda sono frutto di quella selezione massale iniziata da Michele durante i suoi primi anni di attività.
In cantina poi le lunghe macerazioni e i tanti travasi per arrivare a un totale di cinque referenze: un Campi Taurasini, dismesso fino a poco tempo fa, che quest’anno verrà reintrodotto nella linea aziendale, poi un Taurasi, un Taurasi Riserva e una perla enoica più unica che rara che è il Taurasi Riserva Quindicianni prodotto non in tutte le annate anni e presentato al mercato solo, appunto, dopo 15 anni dalla sua vendemmia. Last but not least un bianco solo per pochi eletti, visto il numero esiguo di bottiglie, un Coda di Volpe da vigne di 80 anni quasi nascoste in quei 0,2 ettari ricoperti da altre varietà di piante. Michele Perillo non è solo un vignaiolo, ma un libro di cultura della storia del Taurasi e la conferma, semmai ce ne fosse bisogno, arriva in questa verticale storica che dall’annata 2011 vede la mano e il cuore anche dei suoi figli.