di Simone Cantoni
Un prodotto di norcineria orgogliosamente “sui generis”.
Nel senso che non corrisponde al profilo di un salume propriamente detto (cioè la parte anatomica intera di un animale sottoposta a trattamento di conservazione: il prosciutto, ad esempio); né a quello di un insaccato (un impasto di carne macinata insieme a grasso e aromi, con cui si riempie un involucro naturale o sintetico, detto budello: come salami e salsicce). Nel nostro caso si tratta di qualcosa di diverso: una polpetta, ottenuta, sì, attraverso una lavorazione simile a quella degli insaccati; ma che poi non viene raccolta in alcuna membrana di contenimento. È la “pitina” (detta anche “peta” o “petuccia” o “petuzza”, sebbene, a essere precisi, i diversi nomi indicherebbero altrettante differenti preparazioni): una specialità tipica delle Prealpi carniche, in Friuli, la cui storia e le cui caratteristiche ne fanno una specialità davvero particolarissima.
LA PITINA AI RAGGI X
Tutelata dal marchio di qualità Igp (Indicazione geografica protetta), la pitina si compone di carni magre di ovino o caprino o di selvaggina ungulata (per l’esattezza capriolo, daino, cervo, camoscio), le quali, presenti nel prodotto per una frazione minima del 70%, vengono lavorate con parti grasse costituite invece da pancetta o spallotto di suino. Il tutto – finemente macinato e “conciato” con sale marino, salgemma, erbe e aromi naturali – viene modellato in porzioni di forma sferoidale (tra i 150 e i 400 grammi): pezzi che, dopo essere stati pressati (la geometria finale sarà semisferica) e cosparsi di farina di mais, si avviano quindi all’affumicatura (da 4 a 48 ore, bruciando legna di faggio, carpine o alberi da frutto) e infine alla stagionatura (per almeno quindici giorni), destinata a culminare con un calo del peso fino ai 300 grammi circa.
AREALE, STORIA E MODALITÀ D’USO
La sua zona di produzione corrisponde a quella frazione occidentale della provincia di Pordenone che è occupata dal territorio dei comuni di Andreis, Barcis, Cavasso Nuovo, Cimolais, Claut, Erto Casso, Frisanco, Maniago, Meduno, Montereale Valcellina, Tramonti di Sopra e Tramonti di Sotto. Il nome “pitina” parrebbe (o almeno potrebbe) derivare da un diminutivo di polpettina; di certo il suo consumo risulta essere stato diffuso già dai primi dell’Ottocento e, fondamentalmente, tra le famiglie di estrazione più modesta: stagionare, affumicare e aggiungere grasso sono d’altra parte tra le più basilari e caserecce tecniche di conservazione. A tavola la si consuma sia tal quale sia cotta, dando vita a una gran quantità di ricette; varianti assai diverse tra loro che, inevitabilmente, hanno solleticato la nostra fantasia in ordine ai possibili abbinamenti con la birra. Ecco quindi di seguito il resoconto di tre nostri esperimenti…
CRUDA CON LA DARK MILD
Al naturale la pitina presenta una consistenza mediamente morbida, una pastosità grassa tutto sommato contenuta, un bel gusto sapido, una tendenza olfattiva a dominante affumicata senza escludere le note varietali delle carni in gioco né quelle conferite dalla concia eseguita. Inutile dire che il punto di partenza sia evitare una bevuta il cui incedere conceda spazi di manovra all’amaro o all’astringente. Certo, puntare su un’acidità pulita (una Berliner Weisse, ad esempio), significherebbe andare sul velluto; ma ci sono anche altre opzioni, meno scontate. Una Dark Mild, ad esempio; a patto che rinunci al luppolo in chiave palatale. Abbiamo scommesso così sulla “Christmas Morning”, forgiata, a Bassano Romano, dalle officine “Hilltop”: 3 gradi e 2 di armonia e densità sensoriale. Il suo colore è un bel ramato; il suo naso risulta tostato, con un tocco di castagna e noce che – in combinazione coi profumi del boccone – accende l’idea di una merenda montanara a base di pane scuro e salumi; infine la birra fa apprezzare una “bocca” asciutta ma assai morbida, l’ideale per ammansire le esuberanze della polpetta.
ALLA BRACE CON LA RAUCHBIER
Da una pitina all’altra, si passa a una versione cotta: sulla brace, per l’esattezza; trattamento che espelle liquido e grasso, concentrando quindi i valori di sapidità e compattezza, oltre a moltiplicare la spinta affumicata. E quest’ultimo aspetto offre l’aggancio a un’idea d’abbinamento diversa dalla precedente; non opposta, ma differente: quello con una Rauchbier; in particolare la “Veb fumade” firmata, proprio in Friuli, a Sutrio (Udine), dal marchio “Bondai”. Essa stessa una bevuta asciutta ma levigata (5.2 i gradi) e senza unghiate amaricanti (appena 25 le Ibu); essa stessa una birra tostata (ambrato carico il colore, crosta di pane ben cotta la base olfattiva); ma soprattutto una sorsata il cui slancio fumé pareggia, aggancia e asseconda quello del boccone.
IN RISOTTO CON LA DUBBEL
La terza sfida è all’insegna di una ricetta un poco (ma appena) più complicata: la pitina in risotto. Questa la preparazione in sintesi: in un tegame far rosolare della cipolla lubrificando con burro e completando poi il soffritto con la pitina tagliata a cubetti; idratare il soffritto con vino bianco e quindi aggiungere il riso; irrorare ulteriormente con brodo e mescolare fino a cottura ultimata. Alla prova del dente, esce una consistenza soffice, ma un’alta densità sensoriale; una cremosità lipidico-amidacea considerevole; un gusto ficcante di matrice dolce, acidula e sapida; un’inclinazione odorosa tostato-affumicata. E da bere? Salendo con il livello di provocazione del boccone, sale d’intensità anche la risposta della birra; risposta che è affidata alla “45 Lune” targata “Almond 22” (Loreto Aprutino, Pescara): una Dubbel brassata anche con avena e segale, nonché aromatizzata con miele e un articolato “mazzetto” di spezie. La sorsata, asciutta ma levigata e mai incline a un amaro esuberante, rispetta il palato del piatto: il finale lievemente piccante della prima s’integra infatti assai bene con la salatura e l’acidulità del secondo. Inoltre la bevuta, con i suoi 6 gradi e la sua bollicina viva, porta a casa la partita (sebbene in principio, ponzando un po’) contro gli spessori grassi e carboidratici del risotto; mentre quest’ultimo vede le sue direttrici nasali assecondate dalle tostature prevalenti nel bicchiere (con venature anche fruttate e, ovviamente mielate). Interessante poi, sempre sul piano olfattivo, anche il dialogo che coinvolge le sensazioni speziate della “45 Lune” (zenzero, cardamomo e pepe) con la componente carnea apportata dalla pitina.
BIRRIFICIO BON DAI
Viale Val Calda, 1 – Sutrio (Udine)
T. 347 2367680
info@birrificiobondai.it
www.birrificiobondai.it
HILLTOP BREWERY
Via Roma, 315/A – Bassano Romano (Viterbo)
T. 333 2019407
info@hilltopbrewery.it
www.hilltopbrewery.it
BIRRIFICIO ALMOND 22
Contrada Remartello, 47/H – Loreto Aprutino (Pescara)
T. 085 820 8154; 328 633 0050
info@birraalmond.com
www. birraalmond.com